Young Fathers
Dead
L'hip hop del Regno Unito non mi ha mai convinto del tutto. Sì, questi britannici sono bravini, ma sembrano privi di quella relazione autentica e organica (banalizzo: la strada, il ghetto) che risulta necessaria per vivere questa musica, per immergersi a pieno nel suo linguaggio ruvido e urgente.
Gli inglesi in genere eccellono quando britannizzano, e lhip hop non fa eccezione. Per dire qualcosa, devono creare qualcosa di autenticamente europeo e british: Massive Attack, Tricky, una larga parte della scena elettronica-underground di Londra, qualche isolato paroliere di lusso tipo Mike Skinner.
Eccoci al punto: gli Young Brothers (un trio: due ragazzi di origine africana e un britannico) sono bravissimi perché il loro hip hop non si rinchiude nel regno del prosaico-made in usa, ma osa. Il risultato è indefinibile e decisamente personale, ma soprattutto parecchio britannico. Anzi, nel loro caso, la casa madre è la Scozia, e più precisamente Edimburgo.
Dead è la terza fatica del gruppo, ma confesso che si tratta del primo disco che mi gusto a pieno, e quindi vedrò di evitare paragoni e raffronti con il passato che non sono in grado di elaborare.
Gli Young Fathers sono quasi cantautori prestati alleuforia avanguardistica dellhip-hop alternativo. Uneuforia fluida e inarrestabile, tanto che pare di vedere una maschera di Rorschach: un flusso continuo di idee, immagini, intuizioni. Un puzzle di genialate mutuate anche dal meglio che lhip-hop astratto (e non) ha fatto germogliare nellultimo periodo: Kanye West (le frequenze bassissime di Yeezus), per dire, è onnipresente, anche se qui il tono è decisamente meno tronfio e più riflessivo, quasi che il suo egocentrismo si fosse trasformato in una sorta di filosofia di vita, acquisendo profondità e coscienza.
War (splendida e stratificata) in effetti è quasi un featuring con il genio di Chicago, mentre i cerchi concentrici che rinascono di continuo durante Am I Not Your Boy sembrano proprio usciti da My Beautiful Dark Twisted Fantasy. In altri luoghi spunta invece la furia motorizzata e atroce dei Death Grips: rumore che squarcia il cielo in due, disumano, quasi a-musicale (No Way è una versione soft della loro parete invalicabile).
Il bello degli Young Fathers sta però anche e soprattutto nella capacità di mixare le idee partorite dallhip-hop con una lunga tradizione che profuma di british da due miglia di distanza: per dire, I Heard sembra quasi un brano IDM virato in direzione Bristol (con i Massive Attack furtivi nellombra: soul angelico a sorvolare le tastiere), mentre Dip è un ragga tribale e solitario, quasi alieno, tanto che io parlerei di Intelligent Hip Hop, per contrapporre questa policromatica ricchezza di sound alla grossa poltiglia che MTV e compagnia ci rovesciano addosso da quasi quindici anni. Low pulsa come un metronomo e suona quasi come un incrocio fra Mike Skinner (la splendida voce narrante) e un anticon sound con il dono della concretezza, mentre Get Up mi ricorda (assurdo?) quasi i Soft Cell, con quello spunto incredibile del ritornello e la tastiera che luccica.
Gli Young Fathers arricchiscono la ricetta alternativa con una miriade di riferimenti e di idee che lasciano a bocca aperta: questo è hip modernissimo e riverniciato praticamente da tutto lo scibile umano.
Mo posso affermarlo con una certa sicurezza: dopo qualche anno meno brillante, lhip-hop sta recuperando il ruolo centrale che ha ricoperto per diversi anni, specie allinizio dello scorso decennio, nelluniverso della musica alternativa. E questa volta riesce nellimpresa anche dalle parti delle Highlands.
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