Kelela
Cut 4 Me
Un mixtape capace di ridefinire un'estetica musicale in continuo divenire, questo Cut 4 Me, originariamente uscito nel 2013 in formato digitale poi stampato, nell'Aprile di quest'anno, in cd e triplo vinile dalla losangelina Fade To Mind, etichetta alla quale Kelela Mizanekristos aveva chiesto asilo dopo il trasferimento da Gaithersburg, Maryland. Nata nel 1983 a Washington, D.C., di origini etiopi, l'aliena in dreadlocks Kelela trova nella label - e nella sua gemella londinese, la Night Slugs il clima giusto: fondata da Bok Bok (Alex Sushun) e tale L-Vis 1990, la Night Slugs si era accaparrata le menti più instabili (Kingdom, Girl Unit, Egyptrixx, Jam City) che animavano il circuito underground di South London, imbastendo una ricetta sonora che Philip Sherburn di Spin ha provato a riassumere come a mutable hybrid of grime, house, electro, R&B, techno, hip-hop, and dubstep. Kelela in cotanto caos ci sguazza e, tra una serata e l'altra nei club più diroccati della città degli angeli, pensa bene di sovraincidere la sua voce su basi composte dai producer che operano all'interno del collettivo.
Il risultato, venuto alla luce proprio quando FKA twigs prendeva il volo con EP2, fa' gridare al miracolo parte della stampa musicale più attenta, beccandosi persino le lodi di artiste come Björk, Solange (con la quale Kelela aveva già condiviso il palco) e la sorellona Beyoncé (che quel mixtape deve esserselo ascoltato bene al momento di reclutare Boots e lavorare sull'album omonimo del 2013). Il vortice in cui ci si imbatte al primo ascolto ha come punti fermi l'incessante ricerca timbrica sui beat e l'utilizzo di synth a piovere, sia in funzione ritmica che melodica, mostrando un più deciso legame col wonky (e quindi, per vie traverse, con l'electro) di quanto non accada nelle produzioni di twigs. Altra differenza di non poco conto rispetto all'operato di miss Barnett (la quale, come avrete capito, la si tira in ballo perchè nome di riferimento - vuoi per qualità del materiale, vuoi per esposizione mediatica - di tutto il filone alt r&b legato all'UK Bass) è nella voce: quella di Kelela è duttile e sinuosa, timbro scuro ma leggiadro, presenza a tratti talmente inglobata nel mix da configurarsi come parte della texture, e soprattutto scevra dai trattamenti, dalle modulazioni, dai frenetici cambi di pitch che tanto aggradano la nostra FKA. Come nell'esordio di quest'ultima, d'altro canto, nella prima prova di Kelela c'è meno enfasi sul melisma, sul falsetto di ascendenza Aaliyah che ha progressivamente acquisito rilievo nello stile interpretativo di entrambe le ragazze.
Il paesaggio sonoro (occhio che su YouTube l'ordine dei brani è sbagliato) resta tra i più originali mai proposti: rigoglioso ed esotico (Floor Show e la sua melodia orientale, i rimasugli grime trasfigurati in modalità post-Timbaland di Enemy), agrodolce di reminiscenze dum'n'bass (Bank Head), ondeggiante con grazia su bassi scuoti-viscere (Guns & Synths), extraterrestre (le tastiere borbottanti in solitudine su Do It Again, il neo-ambient che incontra Janet Jackson su Cherry Coffee) ma palpitante di spinosa umanità (il fraseggio pop su base aritmica di Send Me Out, i found sounds e il rhodes tutto lacrime di A Lie), ritagliandosi un'intrigante equidistanza tra la cresposità di una produzione indipendente e il luccichio dell'alta fedeltà.
Kelela, come si è detto, asseconda il tutto come meglio non si potrebbe. Fantasmatica, quasi irreale nella sua sobria/incorporea dimensione afrofuturistica: un'astrazione, laddove twigs resta fisicità estrema, arzigogolato ricamo di travestimenti, danza e performance art. Altrettanto impalpabile la sua produzione in questi ultimi due anni: appena una comparsata nell'eccellente brano di Bok Bok, Melba's Call (Marzo 2014), poi la lunga gestazione dell'Ep Hallucinogen, in uscita a Ottobre, al quale ha collaborato pure Arca. Probabile che ne sentiremo ancora delle belle. Anzi, più che probabile.
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