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R Recensione

7,5/10

El-P

Cancer 4 Cure

Per farsi un’idea di come suona questo El-P versione “2.012”, vale la pena partire subito dal penultimo brano in scaletta: “Stay Down” un mini-capolavoro che, come una sorta di sineddoche, custodisce il codice stilistico del suo ultimo album “Cancer For Cure”. Una forma rap compatta e regolare di poco più di tre minuti veicola un intarsio strumentale e “sampleristico” di rara ricercatezza dove barbagli di fiati jazzy, spirali Moog anni 70, sinistri scricchioli di feedback in sottofondo si sublimano nel pop aereo e velatamente psichedelico del ritornello (cantato in modo impeccabile da Nick Diamonds degli Islands, il primo di una nutrita schiera di collaboratori di un certo lignaggio). Non che l’intero album si appiattisca sullo stesso tono o si mantenga sullo stesso livello, ma il principio formale, almeno sul piano della scrittura, rappresenta una costante.

Col passare del tempo il geniale rapper e produttore di Brooklyn ha progressivamente virato su strutture più concise che giocano sull’asimmetria delle scansioni interne - intro e frasi strumentali, ritmi irregolari, strofe e ritornelli sottilmente slittati – concentrandosi sulla manipolazione collagistica del materiale armonico dove le parti suonate (flanger di chitarra, organo e tastiere, giri di tamburi e cambi di batteria) si amalgamano e si sovrappongono perfettamente ai campionamenti. In “Cancer 4 Cure” questo labor limae raggiunge vette di certosina complessità grazie anche all’apporto di una vera e propria band formata da gente come Matt Sweeney (già con Zwan e Bonnie Prince Billy) e Jaleel Bunton (Tv On The Radio) alle chitarre, James Mc New (Yo La tengo) al basso e “Ikey” Owens (già con Mars Volta) e ad ospiti vocali come Paul Banks (Interpol) ai cori e i rapper Danny Brown (una delle rivelazioni assolute del 2011 con il suo “XXX”) e Himanshu Suri (Das Racist). Il che ha un effetto tutto sommato positivo sui brani che denotano un cromatismo e una varietà parzialmente accentuata rispetto al passato. Sul filo di atmosfere noir e distopiche - che sono un po’ la sua cifra d’autore dal punto di vista concettuale - un misto di esistenzialismo alla Camus e trascendenza sci-fi alla Phil K. Dick si snodano composizioni di grande valore come “Drones Over Bklyn”, drum’n’bass su un fondale di glitch, voci rarefatte e stranianti inserti concreti e “For My Upstairs Neighbor” rifrazioni liquide e solforiche per un testo quasi polanskiano nella sua accerchiante paranoia. E se “Tougher Colder” dissimula barocchismi robotici e accenti post kraftwerkiani, “The Full Retard”, come da manuale, rivisita in chiave futurista sonorità hip-hop oldschool stile Bomb Squad. Altrove il suono si fa più crudo e claustrofobico come nell’aggressività street di “Oh Hail No”, in “True Story”, un martellante coacervo di echi, riverberi e distorsioni, o nella tagliente e tachicardica “The Jig Is Up”.

Un album che, in conclusione, unisce un eccellente fattura ad una relativa accessibilità e aggiunge un altro prestigioso tassello alla grande carriera di uno dei più grandi protagonisti del passato decennio.

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Voto degli utenti: 7/10 in media su 3 voti.
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Noi! 7/10

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