Volcano!
Piñata
Lopinione pubblica ricomincia a parlare di illustri discese in campo, e noi pure. Di Beautiful Seizure, e lo ricordo ancora oggi come se fosse ieri, stordito adolescente non ancora quattordicenne, veniva persino troppo facile prevederne leccezionalità ontica, la trasbordante ispirazione, la schizofrenica genialità: nulla, dalla copertina in avanti, veniva lasciato troppo al caso in merito Ecco, senza dilungarci oltre su uno dei dischi più travolgenti e colossali del Nuovo Millennio, già tre anni più tardi la decrittazione, con Paperwork, si faceva più infida: parzialmente smarrita per strada lappariscenza anarcoide delle cacofonie accumulative del debut, la minore tensione esplosiva del suono e la maggiore densità distributiva delle sfumature costringevano ad unaccettazione più profonda, accentuata di quella che era, a latere, la prima svolta stilistica di un certo peso in seno al gruppo. Il gruppo, già, che sbadato Ma doverano finiti, questi diavoli dei volcano!, in questi quattro lunghissimi anni che ci stanno traghettando dentro lapocalisse piramidale dello spread? Chi lo sa vince un mappamondo, poco ma sicuro. Vince un mappamondo anche chi riesce ad assorbire entro i dieci ascolti lalbero della cuccagna, ops, la Piñata più aguzza e stratificata degli ultimi centocinquantanni.
In questi quattro anni, Aaron Smith, Mark Cartwright e Sam Scranton (mi piace, per lennesima volta, nominarli uno per uno, ché la stupefacente coincidenza di tre teste così pensanti nello stesso gruppo è roba da calende greche), insomma, i volcano!, potevano fare di tutto: darsi al giardinaggio, scrivere hit per Rihanna, suggerire le dichiarazioni ufficiali a Lars Von Trier, collaborare con Nigella Lawson per un ricettario di junk food a quattro mani Macché: fil de rouge as the way of life. Ed allora dritti, incuranti del morbo mediatico per cui la morte pubblica per mancanza di interazione sociale avviene nel giro di (riempire le parentesi) mesi, verso un processo di popolarizzazione che ha, come effetto collaterale fortemente voluto, un proporzionale aumento del coefficiente di difficoltà concettuale. Ripensandoci accuratamente, era stato così già anche nel salto che aveva portato leruzione materica di Beautiful Seizure a stemperarsi nellestro esotico di Paperwork: meno esteriorità palese, più lavorio interno su ingranaggi di carico/scarico incomprensibili dallesterno. Oggi, lo stesso: finiscono riposte nel cassetto anche le ultime velleità crudamente noise, ricoperte ora da una sontuosa patina di arrangiamento altro che non dimezza i problemi ma, anzi, beefheartianamente, li moltiplica.
Su Piñata, man mano che avanzo con gli ascolti, mi rendo conto che si potrebbe scrivere un trattato. Un trattato di composizione, di metamorfosi, di adattamento, di vera e propria ingegneria musicale. Sarebbe interessante farlo, con qualche competenza in più, ma né il tempo né lo spazio ce lo permettono. Ed allora, sinteticamente: sebbene abbia sempre fatto schifo, nessuna etichetta più di art pop rende meglio lidea dei volcano! versione 2012. Art, badate bene, non solo nella concezione vetusta di canzone ribaltata dallalto verso il basso nel trionfo del surrealismo e della sperimentazione, ma anche nellabilità teatrale di camuffare le proprie reali intenzioni dietro unapparenza, formale, troppo facilmente distinguibile sin dal primo impatto, troppo diversa da quanto stato in passato. Malevolissima la title-track, che trucco, mi ci gioco il conto in banca o ciò che ne rimane, coscientemente studiato fa rimpiangere i volcano! del passato, con quel suo incedere bonario, placido, spruzzato di acidità sintetica nel refrain e strumentalmente coccolato dallinizio alla fine. Non dire gatto se non ce lhai nel sacco. Le scaglie dellanomalia penetrano a fondo, pian piano, senza passare per lirruenza zappiana degli esordi: il che, a conti fatti, significa essere anche più zappiani del consueto. Accenti vocali su cui batte in controtempo la batteria, la chitarra scomposta in segmenti di sbozzato funk rugginoso, cambi di ritmo e rilassatezze, stonature e vuoti elettronici: e chi lavrebbe mai individuata, questa miriade di dettagli?
I volcano!, insomma, sono sempre loro. Sempre più volcano!. Se lo meritano, questo nome, fino in fondo. Non si può provare altro che ammirazione nel constatare come la coerenza del trio inglese si consolidi, inviolabile ed imperforabile, di cambiamento in cambiamento. Beautiful Seizure sconvolse totalmente, allepoca, le concezioni basilari che avevo della musica come organismo in sé stesso: Piñata, tanti anni dopo, tanti dischi assimilati in più, riesce ancora a stupirmi. So Many Lemons sembrano gli XTC a spasso nella savana omaggiati da Thom Yorke, con un andamento seghettato in 5/4 ed un riff di fondo che più math di così non si può. Child Star accenna timidamente alla voce come strepito ed isteria aggiuntiva, in ricordo dei tempi andati, ma il brano va poi in tuttaltra direzione, verso un complesso modellismo afro-wave che esplode in un grande momento orchestrale conclusivo, con la chitarra di With in solipsismo, a calcare sulle melodie cantate. Fighter raccoglie, dopo Tension Loop, limportante eredità di $40.000 Plus Interest (sarà riuscito, poi, a restituire sti soldi al college?), concertando uno spaccato di grande sospensione emotiva e minimizzando la pur riuscitissima controparte strumentale con un intenso tambureggiare ritmico, rigorosamente controllato nelle tentazioni di deflagrazione. E così via, allinfinito.
Piñata è, almeno formalmente, un disco cantabile. Tutto vi verrà in mente, fuorché di cantarlo, in particolar modo quando vi appresterete a partire per la caccia al particolarismo. Supply And Demand riesce ad inoculare, in perfetti schemi da strofa/ritornello, pura anarchia timbrica e weirdismo sonoro, dove le chitarre stonano e armonizzano al contempo, la voce ringhia, latra e carezza, i sintetizzatori calano ombre dark e sparigliano gli umori verso coloratissimi andanti afrobeat. Ogni corsa è una nuova scoperta, come in Long Gone, fantastica cavalcata exotic-prog come le girandole degli Architecture In Helsinki periodo In Case We Die (bel periodo, quindi ) letteralmente silurata da un assolo (?) che è fil di ferro siderurgico, spericolato e dissonante, avvoltolato attorno agli sconnessi ritmi del brano. Come può non tornare il sorriso? Un po come in Platebreaker, che inizia quasi in medias res e fa riassaggiare, per via sintetica e nevrastenica, parte dei tizzoni della caldera di Beautiful Seizure.
Beautiful Seizure, proprio. Che ce ne saremmo fatti di una sua pedissequa riproposizione, con un Piñata così formidabile sullaltro piatto della bilancia? Aspettiamo i volcano! nel 2015, per festeggiare con il botto il primo ciclo decennale di una favola già entrata nella leggenda.
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