Amari
Scimmie D'Amore
Gli Amari, fino al 2005, erano il solito gruppo italiano dalle buonissime potenzialità che, per una ragione o per laltra, o non le aveva ancora espresse o non aveva avuto i mezzi necessari per farlo. Due o tre album, buon riscontro di sottobosco, qualche svogliato elogio, e nulla di più. Poi sono arrivate la cangianti sfaccettature dellarcobaleno ittico di Grand Master Mogol, una sfavillante perla capace di spaziare fra cantautorato, hip hop, elettronica e rock, e i suoi bellissimi singoli (uno su tutti, Bolognina Revolution): lì, la popolarità, è arrivata, tanto inaspettatamente quanto meritatamente.
Consci di una nuova stima artistica e di una rinnovata dimensione live, i ragazzi friulani hanno goduto del momento per perfezionare le proprie doti tecniche e proporsi sotto unaltra veste, più matura e meno post-adolescenziale. Dopo due anni di silenzio discografico, dunque, arriva questo nuovo Scimmie DAmore, una vera e propria prova del nove, sia per la critica che li cosparse dincenso alluscita del sopraccitato Grand Master Mogol-, sia per il pubblico, che per gli stessi Amari. La domanda comune è: fu un fuoco di paglia, o solo linizio di una felice carriera?
La risposta, alla luce di queste undici nuove canzoni, è incerta.
Se dobbiamo vedere lalbum sotto la voce crescita stilistica, allora il responso è negativo. Niente di nuovo sul fronte occidentale, direbbe Remarque: soliti ritmi sincopati, grande impiego di synth elettronici, alcuni fraseggi più vibranti ed elettrici, alternanza di cantato/rap (o simil-rap). Lunica nota rilevante, doverosa ai fini del giudizio finale, è quella di una nuova visione dellelettronica, più vaporosa e appariscente, chiaramente ispirata ai lustrini scintillanti degli anni 80, anche se non del tutto volgare ed eccessiva (Le Gite Fuori Porta, uno sguardo klapkiano su un rapporto di coppia semi-serio, con il suo divertente Perché io odio le gite fuori porta / io vengo da te per litigare).
Qualcosa di fresco lo riserva, invece, il nodo concernente le liriche. Pur conservando uno spirito goliardico e leggero, da post-sbronza e dormiveglia sul divano, i testi degli Amari hanno qualcosa di diverso, più profondi e, in qualche modo, più legati ad una sfera intimistica. Non solo storie di vita comune e metafore imbellettate, quindi, quanto una visione globale più precisa e, talvolta, sarcastica (come nella gradevolissima Il Raffreddore Delle Donne, che potrebbe ricordare qualcosa degli intoccabili Elio E Le Storie Tese), oppure scanzonata (Arpegginlove, un innamoramento riletto in chiave low-fi, sotto un tappeto sintetico e un plaid di lana che sembra essere uscito dalla casa del Bugo di Sguardo Contemporaneo).
A questi episodi, non certo memorabili ma ugualmente godibili, se ne aggiungono degli altri caracollanti ed, in generale, insensati, che risentono pesantemente di un riciclo inventivo: Parole Vere In Un Mondo Vero, ad esempio, con i suoi beat un po beceri a fare da contrasto su un morbido cantato, potrebbe essere un brano di Moltheni sparato in random con le batterie scariche, ma delude le aspettative anche la title track, una filastrocca ingenua e nonsense, à la Branduardi, candita da inserti di archi che mai e poi mai avrebbero trovato posto in Grand Master Mogol.
Come nella migliore delle tradizioni, tuttavia, anche in Scimmie DAmore ci sono un paio di pezzi da novanta, ben prodotti e composti: bella Fiamme In Un Bicchiere (Nessuno di noi avrà più camicie stirate / per quanto le ho sognate, per quanto le ho sognate), stupenda la strumentale E2 E45, una session elettronica che, nutrita da un basso nitido e preciso, si districa fra ispirazioni oniriche e decelerazioni chill-out.
Per essere un buon album, Scimmie DAmore lo è sicuramente, con i suoi pregi e con i suoi difetti, con i suoi picchi ed i suoi scivoloni. Un lavoro di ordinanza, insomma: e la verve di Grand Master Mogol, dovè finita? Promossi, ma il meglio è altrove.
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