R Recensione

7/10

Beastie Boys

The Mix Up

La fine è nota. La scena ripresa da tutte le angolazioni possibili e immaginabili. Senza di loro forse non sarebbe mai esistita una scena hip hop “bianca”. Ne resterebbe solo l’etimologia astratta. L’ipotesi finanziaria di una discografia permeata di cloni dalla faccia dipinta come Vacilla Ice o Marky Mark. Un “Minstrel Show” del decennio “yuppie”.

Ai tre ragazzi di Brooklyn il merito di avere materialmente costruito quel ponte che ancora oggi unisce lo scibile rock dei visi pallidi all'ultima sintetica incarnazione della black music. Anche se il brevetto di cotanta intuizione spetta di diritto ai Run Dmc e al produttore Rick Rubin (il loro centauro rap-metal, Walk this way,è del 1986, ma già prima di allora, nel 1984,c’era stata Rock Box, costruita su un giro di chitarra panzer di Eddie Martinez), furono i Beastie Boys a perfezionare il progetto,cementandone le fondamenta grazie all’esperienza maturata durante l’oscura militanza nella old-school dell’hardcore newyorkese. Rap di quartiere e punk rock adolescenziale, slam-dance e bloc-party.

Con Licensed to Ill (Def Jam,1987),ideato e prodotto sotto l’attenta supervisione dello stesso Rubin e di “Jam master” Jay (Run Dmc), il loro sound energetico e demenziale scavalcò agilmente le mura del ghetto (letterale e musicale) ,filtrò oltre le paratie delle divisioni etniche,culturali e generazionali,riportando in auge quel concetto di crossover che più volte affiora nella musica popolare del ‘900 (prima di allora soprattutto in riferimento a jazz e blues). Il loro “rap’n’roll” infantile ed animalesco per certi versi esaspera la polifonia vocale “call and response” di blues e gospel, l’atteggiamento, ”machista” e delinquenziale fino al limite dell’autoparodia,quello vizioso e annoiato dei ragazzi ricchi che,più o meno consapevolmente,amano rotolarsi nel fango dei bassifondi metropolitani,pregno di tutte le provocazioni gratuite e gli stereotipi neo-tribali del caso.

Oltraggiosi e spesso ubriachi (per volere del loro sponsor,la Budweiser) i “Beasties” sembravano destinati a soccombere sotto il piglio degradante delle loro performance auto-promozionali prim’ancora che musicali; ad essere sacrificati sull’altare di un’estetica di commistione fra realtà e fumetto,ripresa documentaria e disegno animato che in quegli anni andava per la maggiore (non a caso nelle sale spopolavano film come “Chi ha incastrato Roger Rabbit?” o “Ritorno al futuro”). “Panta Rei”,tutto scorre,diceva Eraclito.Certo è che da allora ne è passata di acqua sotto i ponti della musica.Sempre meno limpida,sempre più inquinata dagli scarichi dell’industria.

Eppure,se dopo più di vent’anni di peripezie tragicomiche pubblico e critica non li hanno ancora abbandonati,un motivo indubbiamente c’è. C’è che,per esempio,la cellula originaria del loro terrorismo goliardico non ha mai smesso di rigenerarsi,trasformandosi,nel corso degli anni,in un organismo aperto ed autosufficiente. A vario titolo e più o meno stabilmente,sono entrati a far parte del gruppo musicisti (Eric Bobo,Alfredo Ortiz, “Money Mark” Nishita), Dj (Dj Hurricane prima e “Mix master” Mike poi),produttori (i Dust Brothers e Mario Caldato Jr.) che lo hanno gradualmente convertito ad un ensemble orchestrale e dadaista alla Frank Zappa (dei poveri!),capace di spaziare dal sofisticato collage d’avanguardia di Paul’s Boutique (Def Jam,1989),al funk-rock analogico di Check your head (Grand Royal,1992) e Ill Communication (Grand Royal,1994),dai rigurgiti hardcore di Aglio e Oglio (Grand Royal,1995) al rap futurista e robotico di Hello Nasty (Capitol,1998) o a quello più tradizionale di 5 to the boroughs (Capitol,2004).

The Mix Up (Capitol,2007) è il secondo album strumentale della band dopo The in sound from way out (Grand Royal,1995),il primo interamente composto da brani scritti per l’occasione. Quello che fuoriesce dai dodici solchi del disco è un suono fresco e iridescente come un succo di frutta corretto da una spremuta di peyote. I perimetri dei singoli pezzi svaniscono ben presto in una sorta di suite jazz-funk che formicola di movimenti onirici e rarefatti,increspati da variazioni infinitesimali. Assomiglia alla colonna sonora di una novelty senza dialoghi ne personaggi riconoscibili;un fumetto per adulti degli anni ’60 animato da un groove lounge-core anziché da balloon e didascalie.

King Ad Rock,Mike D e MCA (rispettivamente chitarra,batteria e basso) ispirano una simpatia contagiosa e,pur essendo mediocri strumentisti o forse proprio per questo,riescono a dare ai loro pezzi un taglio sghembo e spiritoso;le tastiere di Money Mark (principale fautore del nuovo sound del gruppo) disegnano acquerelli psichedelici,ritmati e fluorescenti,mentre Ortiz,alla solista,elabora una cangiante bordatura di “overline” latineggianti. Nella fluida omogeneità del tutto si prediligono le scaglie liquescenti di Suco de tangerina,una delizia incline al melange tra i fraseggi di tango di Astor Piazzola e la colonna sonora di “Indagine su di un cittadino…” rivisitata dai Fantomas, e The gala event,miniatura ambientale dove l’elettronica prende il sopravvento screpolando l’epidermide tonale con una stramba emulsione di downbeat e acid-jazz. In fin dei conti The Mix Up non è che un divertissement stagionale,intelligente e senza tante pretese.

L’ideale per districarsi nella jungla chimico-alcolemica di certe nottate estive e ritornare a casa in macchina sani e salvi. Astenersi integralisti del rap e dell’hardcore. Vi trovereste a disagio come un “ciellino” alla mia festa di laurea. O come quel tizio che andava a caccia con (Testa di) Dick Cheney. Buone vacanze a tutti.

V Voti

Voto degli utenti: 7,3/10 in media su 4 voti.
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REBBY 5/10

C Commenti

Ci sono 2 commenti. Partecipa anche tu alla discussione!
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DonJunio alle 8:47 del 18 luglio 2007 ha scritto:

Money Mark è un grande, la grande furbizia dei Beatie Boys è stata quella di scegliersi personaggi che hanno via via rinnovato il loro sound ( come gli stessi Dust Brothers)...

modulo_c (ha votato 9 questo disco) alle 23:05 del 8 gennaio 2009 ha scritto:

un cocktail perfetto

mai titolo fu piu' giusto. un misto perfetto fra funk jazz surf con una spruzzata di acido qua e la. ho ascoltato il disco quasi per caso ma me ne sono subito innamorato. un sottofondo perfetto in molte situazioni, io lo prendo come antidepressivo con effetto immediato. complimenti per la recensione.