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R Recensione

7/10

Curumin

Japan Pop Show

Salivazione alle stelle in terra brasileira per Curumin, paulista di origini nippo-spagnole il cui “Japan Pop Show” è stato addirittura incensato dalla stampa nazionale come miglior album del 2008. A due anni di distanza, questo curioso amalgama di MPB, funk, hip-hop (per non dire trip-hop) e reggae viene finalmente pubblicato nel Vecchio Continente, così da soddisfare l’inesistente curiosità di noi europei nei confronti di tutto ciò che si agita al di sotto dell’Equatore (calcio escluso, of course).

All’ascolto, l’impressione è che l’ipotesi di collisione fra Mùsica Popular Brasileira e black music – peraltro uno dei temi conduttori di gran parte della scena carioca dei ’70s, poi rinverdito nei ’90s come peculiare forma crossover nominata Mangue Beat– venga qui realizzata con una non comune dose di fantasia, naturalezza, e soprattutto con la benedizione di un sampling curato ma non invasivo. Valgano come prove il variopinto cut-up di “Kyoto”, sfigurato da squarci electro e ragga (ospiti Blackalicious e Lateef The Truthspeaker), nonché una nutrita galleria di strumentali: il carillon mutante “Salto Com Joelhada No Vacuo”, il comatoso funk da blaxplotation “Saida Bangu”; per non parlare di “Fumanchu”, vertigine “sambadelica” condita da rhodes, organo farfisa e fantasmini moog.

“Caixa Preta” riduce la formula a movenze contemporary R&B, ma i momenti migliori del disco sono quelli in cui l’anima melodica di Curumin prende il sopravvento e rispolvera la stagione del tropicalismo, traghettandola a forza nel nuovo millennio. Una sensibilità capace di omaggiare il Gilberto Gil più squisitamente pop-rock (l’eccellente “Magrela Fever”), rendere grazie a Tim Maia con un sermone delirante dei suoi (“Esperança”), e soprattutto rinvigorire l’elasticità melodico-ritmica di un Jorge Ben (le gemme “Compacto” e “Misterio Stereo” aggiornano il sound del suo evergreen “A Tábua de Esmeralda”), il cui inconfondibile fraseggio vocale “spezzettato” è oramai cifra stilistica acquisita da Curumin. “In The Hot Sun Of A Christmas Day” conclude le danze (ammesso che qualcuno abbia ballato…) con drammaturgia Morricone subito trasmutata in dolente soul-ballad lacrimante bluesy (sembra incredibile, ma i “pom pom pom” sono identici a quelli di Bowie su “Satellite Of Love”!).

Autore, cantante, polistrumentista: il giovane Curumin non delude le speranze degli aficionados e confeziona un disco personale, colorato, ricco di influenze, frizzante al punto giusto. Chissà se, al prossimo giro di boa, sarà maturato abbastanza per dare lo scossone definitivo a una tradizione musicale che, nei decenni passati, ha rivestito un ruolo di primissimo piano nel panorama internazionale. Intanto invito chiunque si trovi in ascolto a farsi un giretto su questo “Japan Pop Show”, a prescindere dal fatto che abbiate o meno familiarità con la MPB. Potreste restare piacevolmente sorpresi.

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fabfabfab alle 15:02 del 6 luglio 2010 ha scritto:

Descrizione invogliante ...