R Recensione

5/10

Eminem

Relapse

Chi dall’ex genio maledetto del 313 si aspettava un deciso cambiamento di rotta, il disco della svolta, la luce alla fine di quel tunnel oscuro che è la sua immaginaria e tormentata autobiografia, l’ingresso, insomma, in una maturità artistica a pieno titolo, rimarrà probabilmente deluso. Stessa sorte anche per chi ha dato credito alle voci di un ritorno tout court al suono delle origini, ad una “ricaduta” (questo il significato medico del termine “relapse”) nella vena psicotica del dittico degli “Lp”. In realtà Relapse, almeno in questa prima parte che una seconda ne è prevista entro la fine dell’anno, è un’opera che cerca, senza riuscirvi del tutto, di chiudere il cerchio stilistico dell’intera discografia (maggiore) del rapper di Detroit. Ad una ripresa, soprattutto sul piano tematico ed iconografico, dell’aggressività spregiudicata e provocatoria degli esordi, corrisponde, sotto il profilo musicale, una forma piuttosto melodica ed edulcorata, ancorata al sapiente mainstream e alle gradazioni pop dell’ultimo Encore.

Tornano, dunque, l’umorismo politicamente scorretto (parzialmente sedato negli ultimi lavori), i tormentoni sulla sua vita privata che si arricchiscono di nuovi raccapriccianti dettagli (come l’iniziazione alle droghe da parte della solita madre snaturata in “My Mom” o lo stupro subito dal patrigno in “Insane”) più o meno immaginari (ma questo poco importa, nel momento in cui il suo flow polifonico e variopinto riesce a trasformarli in grandi flash di lirismo a tinte fortissime), le nuove avventure misogine e orrorifiche della sua “kinghiana” metà oscura Slim Shady, le provocazioni contro gli omosessuali e le catartiche maldicenze sul vippame a stelle e strisce (nel mirino le nuove reginette del gossip da Lindsay Lohan a Kim Kardashian, passando per la sua ossessione di sempre: Britney Spears). Il tutto impastato secondo una formula compositiva sgargiante e di facile effetto, quanto patinata e ripetitiva, con basi dal sapore gotico-hollywoodiano (al plenipotenziario Dr. Dre - il cui mestiere è solido, non si discute, ma i giri e gli arrangiamenti ormai sono sempre quelli - si affianca Mark Batson, autore anche di colonne sonore per il cinema, apprezzabile in particolare quella del “Miami Vice” di Mann), ritornelli facili, incisi cantati, scarsa propulsione funk e un recitato (salvo rare eccezioni) ben più monocorde e scontato rispetto ai tempi d’oro.

 Così se brani come “My Mom” (cabaret bandistico con tanto di fanfare e orchestrina), “Insane” (uno dei migliori flow dell’album), “3 am” (goth pop pianistico e orchestrale appiattito da un’intonazione troppo lamentosa) e “We Made You” (il singolo goliardico di punta con le sue movenze quasi dance hall e gli sfottò ad Amy Winehouse, peraltro o forse proprio per questo, il personaggio che più gli somiglia nello stardom pop attuale) tentano, con esiti tutto sommato apprezzabili, un update del suo hip-hop basico e teatrale, il resto è poco più che intrattenimento “eminemiano” di routine (“Hello” ha qualche timido accenno dubstep, “Same Song And Dance”, il titolo dice tutto, “Deja Vu”, gioca la carta della power ballad sui suoi trascorsi in clinica di riabilitazione, “Beautiful”, è pietosa, una roba da ragazzine, il duetto con Dre in “Old Times Sake” e il “trietto” con 50 Cent di “Crack A Bottle” puro compiacimento da rap-game).

Da bocciare senza appello se non fosse per due brani che salvano la baracca e gettano una luce di speranza su un’eventuale seconda “ricaduta”: “Stay Wide Awake”, drum’m’bass gotico orchestrale con staccati di chitarra e parafernalia corali, e soprattutto “Underground”, dulcis in fundo, horrorcore spettrale degno d’un balletto kolossal coreografato da Tim Burton in cui Eminem, come un Rocky Balboa prima dell’incontro decisivo (o lui stesso nel finale di “8 Mile”), ritrova gli “occhi della tigre” e con una cavalcata sincopata e incontenibile fa a pezzi i dubbi e le incertezze disseminate lungo tutta l’ultima parte della sua carriera.

Evviva il re, anche se, forse, non è ancora morto.

V Voti

Voto degli utenti: 5,6/10 in media su 5 voti.
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rael 5/10
Kid A 7/10

C Commenti

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Mr. Wave (ha votato 5 questo disco) alle 15:54 del 22 maggio 2009 ha scritto:

Concordo. Analisi impeccabile del Coacci.

diego alle 15:57 del 23 maggio 2009 ha scritto:

non sono assolutamente d'accordo, tra l'altro beautiful la trovo stupenda, e questo album ha fatto tornare l'eminem dell'inizio, quasi tutte le tracce sono potentissime,poi non so con quale criterio voi giudicate un album rap, eminem non si puo assolutamente discutere con quest'album

Mr. Wave (ha votato 5 questo disco) alle 12:13 del 24 maggio 2009 ha scritto:

RE: diego

mah, credo sia alquanto ostico ed arduo tracciar un parallelismo o comunque una sorta di comparazione artistica, che prenda in oggetto l'ispirazione, il fervore, il genio e l'estro dell'Eminem dei tempi di ''The Slim Shady Lp'' e/o ''The Marshall Mathers Lp'' con l'Eminem attuale.

fabfabfab alle 15:16 del 25 maggio 2009 ha scritto:

Mi ha sempre suscitato sentimenti contrapposti. A volte spiccava per qualità (tante volte a dire il vero, soprattutto su ''The Slim Shady Lp'' e ''The Marshall Mathers Lp), altre volte pensavo di avere di fronte l'ennesima "rock n' roll swindle", o, in questo caso, "rap & hip hop swindle". Insomma, un bel prodotto da vendere su un mercato (quello americano prima di tutto ...) affamato di queste sonorità. Un prodotto hip hop con incursioni pop capace di uscire dalla negritudine tipica del genere per venire incontro ad un pubblico molto più ampio. Come fu Marley nel reggae, o il fast food nella ristorazione. Ma io sono un malpensante ...

simone coacci, autore, alle 18:43 del 25 maggio 2009 ha scritto:

RE:

Eh Fab, hai centrato il problema. Io per analizzarlo ho scelto un'altra prospettiva e il mio pensiero sostanzialmente è questo: c'è l'artista e c'è il personaggio e le due componenti coesistono fin dall'inizio, con alti e bassi ma senza particolari contraddizioni. I suoi meriti di rapper, di scrittura e di produttore (condivise con il suo team) sono indiscutibili, poi è chiaro che l'operazione multimediale e pop (geniale, almeno all'inizio) che ha scelto di portare avanti (e di cui ormai sembra quasi essere prigioniero) contempla costantemente il rischio di trasformarlo in un fenomeno da baraccone. Il suo problema attuale, a mio avviso, risiede non tanto in questa endemica doppiezza, ma nella qualità e nell'originalità dei dischi in sè. Avrebbe bisogno di cambiare proprio orizzonte. Perchè uno con la sua abilità lirica lirica e intepretativa secondo me può fare quello che vuole. Chiaro: c'è la possibilità di rimetterci qualche milione di dollari.