R Recensione

4/10

Frankie Hi-Nrg

Deprimo Maggio

Non fosse che lui è sempre stato un po’ il “principe”, l’allievo prediletto da cui, ogni volta, si pretende il massimo, il fiore all’occhiello del rap italiano, l’anello di congiunzione fra l’urgenza ritmica delle posse e l’eloquio raffinato dei grandi cantautori. Non fosse che di album come Verba Manent (1993) e La Morte Dei Miracoli (1997) non se ne vedono poi tanti in giro, così, “allo spizzo”, come dicono a Roma. Non fosse che, di solito, il personaggio centellina avaramente le sue uscite (quattro album in quindici anni di carriera) curandole con precisione certosina anziché battere sul ferro caldo del riscontro commerciale, e, insomma, aprendo bocca solo quando ha qualcosa di sensato da dire (dote rara oggigiorno). Non fosse che c’è andato pure a San Remo, dove tra i fiori e le teste bianche sembra d’essere già all’ospizio, per farsi canzonare (voilà, le mot just!) da gente come Zarrillo ed Emilio Fede (“non importa come andrà sarà un trionfo / non sarò certo io l’unico stronzo / che è andato a San Remo (…)”, lo consolerebbe Fabri Fibra). Non fosse questo, quello o quest’altro, dicevo, non staremmo qui a prendercela tanto a cuore.

Deprimo Maggio è un disco scontato, banale, “luogo comunista”, deprimente sul serio, che cartografa la triste e inattesa china lungo la quale sdrucciola il buon Francesco Di Gesù, in arte Frankie Hi-Nrg.  Il punto più basso della sua carriera. E si che, reciso il flebile cordone che lo legava alle cittadelle dell’ hip hop duro e puro, orfano del genio di Ice One, scavalcato a sinistra da gente come Caparezza, s’era reinventato in chiave strumentistica e concettuale con il discreto Ero Un Autarchico (2003) di cui ora ripropone la formula pari pari: ospitate sempre meno eccellenti (Enrico Ruggeri, ma vaff@*#*€*) , intermezzi teatral-radiofonici(“Mattatoy” di Gianluca Nicoletti e “Call Center” di Ascanio Celestini) da puntata di “Parla Con Me” e l’eterno filo conduttore incentrato sul “de contemptu” di un' Italia corrotta e precaria di cui presto, con l’uopo del  “decreto intercettazioni”, non avremo più notizia (come si dice: “occhio non vede…”).

Solo che in luogo d’un piatto di 17 brani succosi e saporiti stavolta il maitre ci scodella uno smunto precotto di 7 brani originali, 2 monologhi e 1 cover.

Sciatto, stanco e svogliato come non c’era mai capitato di ascoltarlo, Frankie scrive ancora testi da leccarsi i baffi ma poi li butta via su basi strumentali patchanka/latinoamericane come Pugni In Tasca (con Paola Cortellesi che rappa, ma dico io…) e Rivoluzione (il pezzo di San Remo, con l’irritante sample della “Canzone del Maggio” di Fabrizio e l’accompagnamento di Roy Paci) e in ritornelli radiofonici della peggior schiatta. Oppure cerca, senza grande successo, di riallacciarsi alle atmosfere cimiteriali e alle metriche prosastiche ed eleganti de La Morte Dei Miracoli, ma: Direttore rovina tutto con un giro ribassato di chitarra messo a loop e svilisce l’adorabile Giorgia alla stregua d’una corista dei Gemelli Diversi; Precariato, almeno, fa passare in secondo piano la base, degna d’un duetto fra Ricky Martin e Santana e il tremendo ritornello della tremenda Cortellesi quando il ghigno adamantino del vecchio Frankie s’illumina in punch lines da mozzare il fiato: “(…) ho svoltato, basta precariato / fiero servitore dello stato / sono il trampolino di Pinelli, le tessere di Gelli / da un po’ sono il mandante del delitto Pecorelli / di Mori, Ilaria Alpi e Miran Hrovatin / nel suicidio Calvi faccio uno degli acrobati / sasso in testa a Genova, altro che Placanica / missile balistico in quella notte ad Ustica / i posti qui non mancano e non mancheranno mai / faccio la valigia abbandonata alla stazione part time”; si salva il glitch crudo e il drum’n’bass in sedicesimi de Il Giocattolo, il “bum-cià” dal passo jazzato di Anoniman che parla di una specie di “Punisher” da “Cosa Rossa” e Squarto Uomo, con la sua sobria veste old school, sull’ossessione mediatica per gli orrori della nostra “provincia meccanica” (“nei tinelli con la Palombelli / a parlar di spinelli, corna e coltelli”).

E se, alla fine della fiera, il brano più riuscito è la pregevole rilettura funky-dub di Chicco e Spillo di Samuele Bersani, qualcosa che non quadra c’è.

Sbollito.

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Voto degli utenti: 4,8/10 in media su 5 voti.
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C Commenti

Ci sono 3 commenti. Partecipa anche tu alla discussione!
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fabfabfab (ha votato 4 questo disco) alle 11:33 del 11 luglio 2008 ha scritto:

Io i dischi di quest'omino li ho sempre cercati, pur nutrendo qualche dubbio sull'autenticità del personaggio. Questo l'ho sentito poco, ma non intendo andare oltre. Mi accodo. Ottima recensione, tra l'altro.

ThirdEye (ha votato 4 questo disco) alle 19:50 del 20 luglio 2008 ha scritto:

Verba manent era altra roba....Ora è solo l'ombra di se stesso

TexasGin_82 (ha votato 4 questo disco) alle 17:34 del 7 febbraio 2010 ha scritto:

Recensione verità. Lui era un genio vero. Come può avere ancora un po' di amore per la musica quando riesce a fare una canzone come "din don buon natale din don"? Sarà anche per una buona causa, ma che tristezza...