R Recensione

7,5/10

Kendrick Lamar

untitled unmastered.

Gli artisti di talento devono fare i conti con la propria bulimia: pensiamo a Woody Allen, che gira un film all'anno da una vita, e naturalmente – in mezzo a tante robe da conservare come reliquie – butta nelle sale anche robe un po' così.

Kendrick per ora sembra in grado di evitare la trappola del “Sono un genio e quindi pubblico tutto quanto mi passa per la testa” (trappola in cui l'amico Kanye è caduto da tempo, trasformandola peraltro nel proprio regno).

Anche se ha preoccupantemente accelerato i tempi in direzione egocentrismo onnipotente.

Infatti, il nuovo disco arriva quando non è trascorso nemmeno un anno da “To Pimp A Butterfly”, che lo ha incoronato – per la seconda volta – come il cervello più lungimirante e originale dell'attuale contesto hip-hop, quantomeno se si parla degli artisti che cavalcano la muraglia che separa la musica commerciale dal mondo avant.

Kendrick peraltro ha cominciato a ideare titoli un po' così (“The Life of Pablo” è fuori concorso, in tal senso, vista peraltro la storia che c'è dietro; ma Kendrick sembra in rimonta, perché pubblica un lavoro che si intitola “untitled unmastered”, e identifica i brani con una data).

Il californiano, tuttavia, come detto si salva in corner – e alla grandissima – perché sotto la maschera e le trovate c'è della sostanza musicale. “untitled unmastered” è dichiaratamente figlio delle sessions del capolavoro del 2015, e infatti sembra quasi un “To Pimp a Butterfly 2.0” (le registrazioni risalgono in buona parte al 2014, e nell'intro del primo brano Lamar dichiara solennemente di aver pubblicato il disco del 2015 per tutti noi).

Se possibile, qui Kendrick amplia ulteriormente il novero dei generi di riferimento, muovendo passi importanti in direzione all-black (c'è ancora Kamasi Washington a fare capolino, sebbene la sua presenza sia meno ingombrante e cruciale).

Perde qualcosa in compattezza e in termini di efficacia della scrittura, del flow, delle trovate melodiche. Del pathos. Questo lavoro, come da titolo, sembra un pochino più raffazzonato: quasi il frutto di un grosso lavoro di editing e di “ricostruzione” ex post.

L'attitudine progressiva diventa però ancor più eclettica, e tende all'informale: Kendrick assomiglia a un freak prestato alla musica hip-hop e alle sue trovate architettoniche-produttive.

Il primo brano si apre con una sviolinata da southern-man (Snoop Dogg, Dr. Dre & c. che ridacchiano in giardino): voce profonda che si muove su frequenze basse, qualche banalità sul corteggiamento.

Quando si mette a fare sul serio, però, Kendrick cambia marcia: il suo intervento cambia il volto al brano, gli regala proprio un'altra marcia in termini di resa comunicativa, mentre l'atmosfera diventa quasi psichedelica.

L'influenza nei beat di Flying Lotus, già importante per “To Pimp a Butterfly”, qui diventa ancora più significativa: la scrittura “a pannelli”, i brani che si articolano in sezioni di mood e di natura diversi, sono figli non solo della vasta cultura jazz-progressiva di Lamar (come avevo azzardato, quasi un Mingus dell'hip-hop), ma anche dell'approccio destrutturante, vasto eppure di sottile coerenza di Lotus (ascoltare per credere il terzo pezzo, quasi un featuring fra il West più tronfio e lo stesso Lotus).

I fiati sono sempre importanti nel definire atmosfere e mood dei brani: il n. 2 e il n. 5, ad esempio, vedono un Kamasi che sembra suonare sott'acqua, mentre Kendrick sfrutta i suoi brevi incisi in stile Amon Tobin (più di un'eco del suo immortale “Bricolage”). Il flow sudista, sornione e tendente al suadente rimane uno fra i punti di forza (anche quando si scompone in scat quasi jazzistici, oppure accelera il ritmo e l'intensità del discorso): sempre il brano n. 2 regala in tal senso uno fra i momenti più belli, anche per il tono un po' da soulman allucinato di Lamar; il pezzo n. 6, che evoca nel testo "Mortal Man", è invece forse il momento più ricco e articolato: un assaggio di sassofono, ritmiche quasi latine, certosini interventi corali e dialogici di matrice soul.

In sostanza, “untitled unmastered” è quasi il disco soul di Kendrick Lamar. Un soul/ r'n'b che evita mielismi e svenevolezze per essere sfruttato in ottica – sempre – progressiva, oltre che per regalare un'anima e una maggiore varietà timbrica e stilistica a quasi tutti i brani. Kendrick sembra diventato un maestro non solo nell'uso dei cori (via Kanye), ma anche quando si tratta di attribuire alle voci altrui un ruolo di primo piano (il breve, quarto pezzo è un pezzo soul corale, nella sostanza).

La sonata di chitarra “stonata” e vagamente bluesy che chiude il brano n.7 (e che riprende numerosi incisi e liriche dei brani precedenti) è il momento meno a fuoco, anche per la notevole lunghezza, ma ha il pregio di regalare qualche sorriso.

Ecco, forse per avere un altro "To Pimp a Butterfly" servirà qualche tempo, ma direi che possiamo ritenerci soddisfatti anche del suo lato b.

V Voti

Voto degli utenti: 6,7/10 in media su 6 voti.
10
9,5
9
8,5
8
7,5
7
6,5
6
5,5
5
4,5
4
3,5
3
2,5
2
1,5
1
0,5
fgodzilla 7,5/10
ThirdEye 7,5/10

C Commenti

Ci sono 2 commenti. Partecipa anche tu alla discussione!
Effettua l'accesso o registrati per commentare.

zagor alle 15:12 del 14 marzo 2016 ha scritto:

Lamar nuovo Re Mida, ma è lecito chiedersi se sia tutto oro cio' che luccica lol. Come personaggio è indubbio che abbia pochi rivali. Sempre perfetto Francesco invece.

fgodzilla (ha votato 7,5 questo disco) alle 9:56 del 15 marzo 2016 ha scritto:

per ora non sta sbagliando un colpo nonostante sia stato completamente inglobato/adosttato dal gotha .......