Open Mike Eagle
Dark Comedy
Dunque, si avvicina la metà degli anni 10 e un fan incallito delle graduatorie inutili come il sottoscritto si trova costretto a srotolare sul tavolo la mappa dei Grandi del Decennio.
Lasciando da perdere i numerosi jazzisti, un nome su tutti cattura la mia attenzione: Shabazz Palaces.
Confesso: li ho scoperti grazie alla splendida recensione dellimmenso Matteo Losi, e da allora mi fanno compagnia con una certa frequenza.
Sono il mio hip-hop per hipster: ok, c'è Kendrick Lamar che sogna alberi di soldi e curve (quelle di Halle Berry), c'è Kanye West che ha deciso di fare lamore con il suo ego (e ci riesce benissimo).
Ma lundeground? Eccovi serviti, tribù di San Tommasi. Gli Shabazz Palaces sono il meglio che lhip-hop alternativo, originato dalla teorica deriva anticon e poi diramatosi nelle direzioni più inimmaginabili, abbia partorito nellultimo lustro.
La cosa bella però è che sono solo i capofila di una nutrita serie di artisti astratti di grande valore.
Fra questi, brilla tale Open Mike Eagle, californiano di 34 anni in circolazione dal 2010 e autore, in questo frenetico 2014, di Dark Comedy.
Con Mike il procedimento di astrazione attivato dai cLOUDDEAD tredici anni orsono torna sulla terra, senza peraltro snaturarsi. Il lavoro è notevole, a tal punto che mi sento di affermare che lallievo avvicina i maestri e non sfigura (non troppo) accanto ai mostri sacri Shabazz.
Rispetto al duo di Seattle, Mike è meno free-form e più narratore: i brani degli Shabazz sono gatti notturni che passano sui letti come fantasmi, quelli di Open Mike Eagle sono vere e proprie storie, per quanto multiformi, stratificate e sature di visioni.
Con Mike il Master of Cerimonies non è più un predicatore invasato che fomenta il suo ego, o che chiama i fratelli alle armi: assomiglia più a un poeta immerso in una sorta di realismo magico.
Dissolvenze in chiaroscuro, ritmiche fratturate e agilissime, una voce confidenziale ma sorretta da una determinazione assoluta: questo è la Commedia Oscura.
Il colpo grosso sono gli arrangiamenti, alterati e a loro modo barocchi: ma si tratta di un barocchismo fumoso e nudo, mi si perdoni il paradosso. Anche le melodie funzionano: Qualifiers decolla con un ritornello che è pop allennesima potenza, tanto che il brano diventa una specie di hip-dance oliatissima; Thirsty Ego Raps mette filtranti di archi e di elettronica a tagliare in due il monologo acuto e lucidissimo di Mike, e lascia intravedere la sua coscienza limpida, che trasforma gli stereotipi dell'hip-hop nel bersaglio della sua intelligenza e dei suoi strali.
I pezzi possiedono una discreta dose di enfasi e sono costruiti in modo minuzioso: Golden Age Raps brilla di luci al neon filtrate da una sensibilità allucinata, e libera un flow fluido ed efficacissimo, sorretto da unispirazione melodica limpida; ancora meglio fa il malinconico soul futurista di Very Much Money, che affastella istantanee di una vita da suburban e ritrae i tanti super-eroi che celebrano rituali lungo la strada.
Difficile trovare cose fuori posto: tutti i pezzi sono interessanti, dai congegni difettosi in stile cLOUDDEAD (quelli di "Ten": Doug Stamper; "Sadface Penace Raps"), alla minimale, dolcissima serenata di Idaho, distante dai territori classici dellhip-hop e dal suo feroce egocentrismo.
Dark Comedy, a dispetto del titolo, è un lavoro luminoso e vitale, immediato ma capace di dischiudersi poco a poco, rivelando le mille intuizioni disseminate lungo i suoi 13 brani, tutti peraltro di durata ragionevole.
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