Sisyphus
Sisyphus
Serengeti è un rapper di Chicago attivo dagli anni 90 e noto per alcuni ottimi dischi (Terradactyl del 2009, Family & Friends del 2011) usciti per la Anticon records, vera e propria garanzia di qualità nel mondo indie hip-hop.
Son Lux è un produttore di New York che dopo aver debuttato per la stessa Anticon si è distinto per la sua eclettica visione hip hop contaminata con le avanguardie post-rock e trip-hop.
Sufjan Stevens non ve lo presentiamo più, perché non è che possiamo tutte le volte rifilarvi la storiella dei 50 dischi per 50 Stati.
Questi tre, messi insieme su commissione dal Walker Art Center per comporre la colonna sonora delle esibizioni dellartista contemporaneo Jim Hodges (tra laltro, uno che mette una candela e un profumo in una scatola e intitola lopera: Doppio ritratto: lartista e sua madre) , avranno ovviamente creato una meraviglia, un disco interessante, godibile e particolare. Un mezzo capolavoro, insomma. Ecco, no. Ma proprio no. Perché la semplice somma non presenta problemi di alcun tipo, ma laddove sono necessarie lalchimia, lequilibrio e il gusto non sempre uno più uno fa due. E un po la differenza tra un cuoco e un ferramenta. Se il ferramenta aggiunge un chilo di chiodi ad un altro chilo di chiodi, fanno due chili di chiodi. Se un cuoco aggiunge un etto di banane ad un etto di funghi sottolio, fa una cagata.
Lalbum desordio dei Sisyphus (che fa seguito ad un Ep pubblicato due anni fa a nome S/s/s) si colloca a metà tra queste due possibilità: in certe occasioni il connubio tra lhip hop, la sperimentazione e il cantautorato pop sembra ben riuscito, vuoi perché i ritmi serrati del flow di Serengeti subiscono le contaminazioni di Son Lux (Alcohol), oppure perché le iterazioni elettroniche del Sufjan Stevens recente ben si prestano alla battuta lenta di marca Anticon (Calm it down), oppure ancora perché il risultato è così bislacco da risultare irresistibile (My oh My è un frullatore delle tre personalità). Più spesso, però, è come se lamalgama sia stato forzato, e il risultato di questo eclettismo involontario è fatto di riempitivi (di Lions Share salverei giusto il giro di basso, che di Pharrell non ne possiamo quasi più), brani che sembrano dei mash-up creati in fase di produzione (Dishes in The Sink) e numeri più o meno gradevoli attribuibili a turno ad uno dei tre membri, da Booty Call che è puro Serengeti a I wont be afraid che avrebbe potuto trovare posto nell ultimo album di Sufjan Stevens.
Insomma, la montagna ha partorito il topolino. Carino e simpatico finchè si vuole, ma pur sempre un topolino.
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