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R Recensione

9/10

Stevie Wonder

Songs in the Key of Life

 Il 28 settembre del 1976 viene rilasciato Songs in the key of life, nuovo album di Stevie Wonder, quello che avrebbe dovuto dare un degno seguito ai tre capolavori succedutisi con una cadenza micidiale, in tre anni, dal 1972 al 1974 (Talking book, Innervisions e Fulfillingness' First Finale).

L’attesa di due anni fu dovuta principalmente alla maniacale attenzione per i minimi particolari di Stevie, all’epoca a un bivio tra l’abbandono della carriera musicale per dedicarsi appieno ai diritti dei popoli africani martoriati dalla povertà e dalla guerra e il proseguo con nuovi stimoli delle produzioni musicali. A dire l’ultima fu la Motown che strappò alla cash cow Stevie Wonder un nuovo contratto da 37 milioni di dollari per 7 anni/7 album.

Grande pressione per un artista che dovendo stupire con musica che deriva direttamente dall’anima non poteva permettersi di minacciare questa irrinunciabile prerogativa con elementi di disturbo esterni. Ecco che allora Stevie si rinchiude per ore, giorni, mesi (si racconta, senza mangiare e dormire per giorni interi) in varie sale tra Los Angeles e New York, dove di fatto inaugurò, con le registrazioni di questo  disco, i poi celeberrimi Hit Studios.

Quasi tre anni di attesa (alla fine non tanti direte, un eternità invece per i fan ai quali era stato annunciato per la fine del 1975). C’era un solo modo per farsi perdonare. Dare in pasto alle orecchie di tutto il mondo qualcosa di magico, di straordinariamente forte ma con raffinata delicatezza, qualcosa di perfetto. Il negoziante del negozio di dischi consegnava quindi tra le mani dei fortunati acquirenti di tutto il mondo un doppio lp accompagnato, nella versione speciale, da un ep intitolato A Something’s Extra, per un totale di ventuno nuove canzoni. Ventuno nuove incredibili canzoni. Di Stevie Wonder. Ci fosse stata una televendita, l’avrei fatta così.

Una botta fenomenale dalla quale molti, ne sono sicuro, stanno ancora cercando di riprendersi e che coloro i quali, per forza di cose, hanno imparato a conoscere solo in seguito, essendosi affacciati con imperdonabile ritardo su questo pianeta, amano e continueranno ad amare nei secoli con istintivo e magico trasporto come se il tempo fosse una variabile trascurabile, almeno nella musica.

Ventuno canzoni sono impossibili da raccontare in un recensione di un disco, anche se si tratta di un disco fondamentale come questo, un disco che molti di voi che leggerete, dopotutto, conoscete già alla perfezione. Inutile raccontarvi ciò che già sapete e che solo con la vostra particolarissima sensibilità potete vestire della giusta sensazione. Basterà ricordare che in questo album ci sono capolavori assoluti della Musica tutta, da qualsiasi lato la vogliate vedere e qualunque siano i vostri gusti, le vostre tendenze sessuali, i vostri orientamenti politici e religiosi. Qui troverete insieme, e non è un greatest hits, “As”, “Isn’t she lovely”, “I wish”, “Sir Duke” “Love’s in need of love today” “Ordinary Pain”, "Have a talk with God", “Pastime paradise” (quella che Coolio riprenderà nel 1995 facendola diventare Gangsta Paradise), e potrei pure citarle tutte (forse tirerei fuori giusto Ngiculela, ma la sconfinata comunità ispanica andava accontentata pure quella e allora pazienza).

Songs in the Key of Life è uno degli album più belli di sempre, a seconda del tempo e dell’umore, è anche il mio preferito tra i suoi  album. Gli album di Stevie Wonder, quelli che forse ci metti un po’ di più, in termini di vita, ad apprezzare nella loro completezza, ma che quando tutto è pronto per riceverli, non ti lasciano più in pace.

 

V Voti

Voto degli utenti: 7,8/10 in media su 9 voti.
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Steven 7,5/10
Robio 8/10

C Commenti

Ci sono 2 commenti. Partecipa anche tu alla discussione!
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andrea-s alle 17:27 del 20 gennaio 2014 ha scritto:

Il disco è indubbiamente favoloso, per questo vorrei permettermi una benevola e spero costruttiva critica al recensore. Si sente che la recensione è stata tirata via in fretta e furia, si percepisce che non è un tuo ascolto di vecchia data, di quei dischi che ci "portiamo dentro" da un bel po'. Questi, credo di poter dire, sono dischi che - per chi è nato a pane e rock - vanno assorbiti con grande attenzione e per i quali una rinfrescata o due non sono sufficienti. La musica qui non è solo soul o funk, il processo creativo in studio è stato determinante, in molti pezzi Wonder (senza la S finale) suona tutti gli strumenti e non è un particolare che non dovrebbe passare in sordina, quando non è solo Wonder è affiancato da nomi di grosso calibro. C'era molto altro da dire per un capolavoro di cotanta portata. Inoltre l'anno di uscita è il 1976 e non il 1977, quindi l'introduzione alla recensione non ha modo di esistere. Spero tu possa perdonare i brontolamenti di un appassionato di nera da parecchi anni. Un saluto.

Franz Bungaro, autore, alle 19:01 del 20 gennaio 2014 ha scritto:

Hai maledettamente ragione, su tutto. Ho provato a correggere il possibile. Ciao e grazie per la segnalazione