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R Recensione

7,5/10

Ainé

Generation One

Nel Paese della santità postuma, uno come Alex Baroni ha ricevuto gli onori che non fece in tempo a meritarsi in vita. Di certo egli rappresentò una piccola rivoluzione nell’Italia del belcanto, ancorata ai canoni melodici del solfeggio e caratterizzata da un passaggio omogeneo dalle note gravi a quelle acute; fu rivoluzionario ancor di più perché sdoganò sulla Penisola il soul contemporaneo, quel genere musicale, figlio del gospel americano, che ha fatto la fortuna, in tempi relativamente recenti, di tanti artisti, da Mariah Carey ad Alicia Keys, passando per Whitney Houston e Rihanna ma che io preferisco veder impersonato da Mary J. Blige. Il soul – e chiamiamolo pure r’n’b – negli anni 2000 si è andato via via impelagando nel rap anche se oggi son tornati ad essere due filoni distinti e definiti. Tutto questo per introdurre il discorso sull’eredità che, dal nostro Baroni, è stata raccolta dal crooner Mario Biondi fino ad arrivare ad Arnaldo Santoro, in arte Ainé, l’MC cantautore che ci accingiamo a recensire.

Generation One” – diciamolo subito – è un disco bellissimo, suddiviso in due parti, una cantata in italiano con venature jazzy e rap, l’altra in inglese, dai fortissimi connotati soul. La tracklist comincia con “Dimmi se puoi”, canzone profondamente segnata da una sezione ritmica precisa ed avvolgente, e un cantato – sia lead che backing – che ricorda il Pharrell più ispirato. Certo, Ainé non si permette le stesse volute vocali di Alex Baroni ma la voce c’è ed è pure elegante; inoltre il suo sound è decisamente moderno, contemporaneo, signorile. Atmosfere più dark in “Nel mio mondo”, un brano che ci riporta a quel capolavoro che è “Night Air” di Jamie Woon, se non fosse per la coda subacquea in rime firmata da Ghemon. E ancora quell’intreccio di basse frequenze e raffinatezza vocale in “Niente”, fino a giungere al pezzo da novanta, “Dopo la pioggia”, cantata in duo col sempreverde Sergio Cammariere, a riprova dell’inclinazione jazzistica di Ainé e del suo r’n’b. Il ricercato fraseggio rap di Ghemon (assieme a Davide Shorty) fa capolino pure in “Tutto dorme”, in cui Santoro sembra recitare la parte che un tempo fu di Neffa o di Giuliano Palma nelle rispettive crew. L’ultimo brano di “Generation One” è “Nascosto nel buio”: l’andamento è decisamente più lento e la novità sta nello struggente blues creato dalla chitarra; la voce è una volta ancora calda, fine, impeccabile.

I pezzi in inglese prendono il via da “Cause You Are” e “Be My One” (col basso funk di Alissia Benveniste), due nu soul per piano Rhodes dove la voce di Ainé sembra fare un ulteriore salto di qualità, ed egli stesso sembra tornare a casa, nei locali dell’America nera. Il falsetto alla Pharrell, trasfigurato, ritorna in “Brighter Than Gold” e in “Promises”, mentre in “Leave Me Alone” – e ancor più nella title-track – il groove esplode in tutta la sua impazienza. Infine “Mommy”, che parte in reverse per poi diventare una tormentata canzone d’amore filiale, nemmeno cantata, appena appena intonata, sicuramente languida e luminosa.

Fa piacere sapere che in Italia c’è qualcuno che produce musica del genere, ancor più sapere che qualcuno l’apprezza. Il mainstream italico è così disabituato alla qualità che spesso il rap è sinonimo di volgarità eccessiva e plastificata, e il soul qualcosa di esotico o un esercizio virtuosistico, un genere di nicchia per esterofili. Ainé ci ha invece dimostrato che l’American sounding confezionato sulla Penisola ha caratteristiche sue proprie, gode di autorevolezza artistica e ha personalità. Proprio come The Weeknd sul continente nordamericano, Ainé, col suo “Generation One”, rappresenta la nuova generazione di questa alternativa offerta musicale.

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Voto degli utenti: 7,5/10 in media su 1 voto.
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Cas (ha votato 7,5 questo disco) alle 12:04 del 15 gennaio 2017 ha scritto:

Gran bel dischetto