V Video

R Recensione

8/10

Jamie Woon

Mirrorwriting

Che lo si voglia ammettere o no, da qualche tempo in Inghilterra è in corso un movimento assolutamente nuovo e caratteristico: il dubstep si sta appropriando sempre più del linguaggio pop, e viceversa. Si era partiti l’anno scorso col debutto dei Darkstar, legato però ad un electro-pop ancora nostalgico e non molto proiettato in avanti. La vera esplosione si è avuta quest’anno: l’omonimo LP di James Blake ha applicato le tecniche del dubstep ad un soul scarno ed essenziale, mentre “On A Mission” di Katy B le ha proiettate in un formato appetibile ad un pubblico ancora più vasto. Con l’esordio di Jamie Woon le cose cominciano a diventare ancora più chiare, aprendo così possibili scenari futuri decisamente avvincenti.

Presentato da qualche mese come il rivale di Blake, il percorso artistico di Woon è in realtà più complesso e sì, anche più suggestivo. Non dobbiamo dimenticare, infatti, che il primo è una sorta di enfant prodige, cresciuto a lezioni di pianoforte, innamoratosi non molto tempo fa del dubstep e catapultato dall’oggi al domani in un universo musicale immenso per un timido ragazzo di appena 21 anni. Blake nasce come produttore tout court, i suoi primi EP sono costituiti da brani giocati su sample, ripetizioni, manipolazioni vocali: solo successivamente viene illuminato dalla fulminea intuizione di comporre musica dubstep utilizzando la sua vera voce. Jamie Woon, 27 anni, invece proviene da esperienze che affondano le loro radici in un periodo di tempo più lontano: ad essere precisi, tutto comincia nel 2007, con la pubblicazione di un singolo dai toni folk/rurali, “Wayfaring Stranger”, remixato poco dopo da sua maestà Burial. Ed è proprio su questo incontro che vogliamo ora soffermarci; sorge, infatti, una domanda spontanea: che fine ha fatto Jamie Woon in questi lunghi quattro anni intercorsi tra il primo singolo e “Mirrorwriting”? A quanto pare si è ritirato quasi del tutto dalla scena musicale piena di riflettori puntati, e lentamente ha pianificato le idee con cui costruire il suo disco d’esordio, avendo come mentore di fiducia proprio lo stesso Burial. Secondo quanto affermato da Woon, esiste un ruolo decisivo del misterioso producer inglese nella composizione di questo disco, non sappiamo se del tutto effettivo o se limitato nel campo di consigli illuminanti. Certo è che tra un approccio da songwriter classico, tutto voce e chitarra acustica, e un’attitudine così attenta ai nuovi movimenti elettronici, ce ne passa eccome.

“Mirrorwriting” è dunque un entusiasmante compendio di sonorità di cui gli ultimi dieci anni si son nutriti in larga misura: si parte dal soul del futuro coniato da D’Angelo in “Voodoo” nel lontano 2000, si arriva ad istanze microhouse, dubstep, e si nota persino una riproposizione dell’r’n’b trasfigurato recentemente in forma lo-fi da How To Dress Well. Ma non è una mera operazione di rimescolamento, bensì lo slancio naturale di un artista dall’animo profondo che vede nel nuovo linguaggio elettronico il canale più adatto per trasferire emozioni del tutto inedite. Quando una voce così intensa, così evocativa, incontra mezzi espressivi all’avanguardia, il risultato non può che essere impressionante. E infatti lo è, per vari motivi.

Innanzitutto, il disco sfoggia un’unitarietà di temi sonori e di atmosfere dall’elevato potere immaginifico, e ogni brano rappresenta un microcosmo a sé stante che comunicherebbe moltissimo anche preso singolarmente. Come non compiere, ad esempio, un tuffo nella notte in una Night Air (co-prodotta da Burial) che si insinua subdolamente da ogni parte, per merito di ipnotiche pulsazioni microhouse, synth atmosferici che si addentrano nei meandri del buio più pesto, un basso che vibra cupo e misterioso, e una voce che decanta personalissime sensazioni eteree? Colpisce la cura dei dettagli, la produzione maniacale (non a caso per scrivere questo pezzo ha impiegato circa tre anni), la perfetta armonia tra voce e tappeto sonoro. Ci sono canzoni davvero memorabili: Gravity, per dire, è un miracolo: un drone celestiale che risucchia in un vortice profondissimo beat aspirati e rallentati, con meravigliosi giri di chitarra acustica glitchata che emergono dal nulla e vi si rituffano subito dopo, e ancora una voce bellissima che esprime parole di rara intensità.  Oppure, Shoulda mostra un sostrato sonoro criptico, in continua evoluzione, spaziante dall’ambient al glitch al dub, tutto tenuto insieme in un modo che ha del prodigioso. Ma questo è un disco che sa offrire anche momenti di pura classe e sensualità r’n’b, come nelle due potenziali hit Lady Luck e Middle, attente sì a un’immediata presa melodica, ma ricche anche di particolari ingegnosi (il beat imprevedibile della prima, la sezione d’archi della seconda). Si raggiungono pure vette emotive dal chiaro anelito religioso/spirituale, come nelle invocazioni quasi gospel di Spirits e TMRW, separate dal delizioso chill-out di Spiral, immerso in un’atmosfera di assoluto relax.

È particolarmente entusiasmante assistere al proliferare di lavori così legati al presente: si ha la netta sensazione che il trend di armonizzare dubstep e pop sia una delle vere innovazioni dei nostri tempi. “Mirrorwriting”, sebbene meno spiazzante di James Blake, è  però il disco che finora ha raggiunto il livello più alto di songwriting e intensità emotiva. Siamo ansiosi di vedere cosà accadrà ora.

V Voti

Voto degli utenti: 6,9/10 in media su 17 voti.
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brian 4/10
loson 8/10
Teo 8/10
rael 4/10
Cas 8/10
REBBY 7/10
motek 5,5/10

C Commenti

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synth_charmer (ha votato 8 questo disco) alle 9:45 del 18 aprile 2011 ha scritto:

Woon è l'ennesimo ragazzo stilisticamente "ribelle" dei nostri tempi, che delle evoluzioni che subiscono oggi i generi se ne batte alla grande guardando solo a sé stesso: e infatti odia quando lo si colloca in un genere specifico, ancor più se quel genere è il dubstep, che nel suo percorso ha solo sfiorato ma non c'è mai entrato. Burial sì, lui è più che presente in questo disco, ma è il suo soul che viene ereditato, tech-step e dub non sono da queste parti. Il soul, piuttosto, inizia a diventare il filo conduttore dei migliori lavori degli ultimi tempi: è il leitmotiv di mirrorwriting, che scorre in mezzo alle rive dell'r'n'b e del cantautorato, senza toccarle mai, con un trasformismo haountologico che assume quei contorni piacevoli all'ascolto del pop. E' tutto questo e non è niente di tutto questo, per questo è così piacevole e stimolante. Una spanna sopra la Monàe, che ha pure messo mano a tutti questi ingredienti ma con un disco che si rivela in maniera più immediata. Questo invece c'è da ascoltarlo tutto l'anno

Filippo Maradei (ha votato 8 questo disco) alle 11:17 del 18 aprile 2011 ha scritto:

Disco bellissimo, fratello gemello di Blake per le commistioni di dubstep e soul, che in questo disco raggiunge vette quasi cantautorali, ma diverso per modi e tempi (meno scomposte le ritmiche, più compatte e uniformi). La prima parte ha del prodigioso: "Street" la summa perfetta dell'album, e tutte fino a "Spirits", compresa, sono di un'intensità pazzesca; peccato si perda qualcosina più avanti, complice anche una mancata incisività di fondo (o forse ritornelli meno riusciti, chissà), ma dove comunque si può scorgere un paio di perle brillantissime ("Spiral" e "TMRW"). Lo sguardo attento e paterno di Burial si avverte qua e là, soprattutto per le pulsazioni micro-house colte giustamente da Gioele e, in generale, per tutto il mood cavernoso-notturno che traspare a ogni passo. Il paragone di Carlo con la Monàe l'ho trovato del tutto campato per aria, tanto più che la Janelle con il dubstep ha ben poco a che fare e che anche per quanto riguarda l'r'n'b gli intenti e i risultati sono quasi agli antipodi (quello della ragazza è venato di funky ed è molto più "tradizionalista" rispetto a quello contaminato, sporco tra glitch-, dub-, microhouse- di Woon). Ecco quindi che gli ingredienti, che dici tu, sono tutt'altri e gli album, presi parallelamente, appaiono divergenti e si allontanano in ogni direzione. Paragoni si possono fare tra la Monàe e Katy B, tra Jamie Woon e James Blake, tra Nicolas Jaar e Matthew Dear... se poi vogliamo mischiare i generi è un altro discorso. Tornando alla recensione e a Woon, tanti complimenti a Gioele per lo scritto e per aver dato visibilità a un artista altrimenti troppo all'ombra.

synth_charmer (ha votato 8 questo disco) alle 11:24 del 18 aprile 2011 ha scritto:

RE: "Il paragone di Carlo con la Monàe l'ho trovato del tutto campato per aria, tanto più che la Janelle con il dubstep ha ben poco a che fare"

eccerto, questo invece.. lassa stà dai

Filippo Maradei (ha votato 8 questo disco) alle 11:42 del 18 aprile 2011 ha scritto:

RE:

Pure la Monàe è dubstep?! C'ha ragione Fabio, ormai 'sto dubstep è diventato anche un accessorio del Wii e una danza giamaicana! XD

synth_charmer (ha votato 8 questo disco) alle 11:44 del 18 aprile 2011 ha scritto:

"Pure la Monàe è dubstep?!" -> vabbè, allora dillo che è uno scherzo e io che ti vado pure dietro.

Filippo Maradei (ha votato 8 questo disco) alle 11:52 del 18 aprile 2011 ha scritto:

RE:

XD Scherzi a parte, aiutami a capire il senso della tua frase. Davvero, ormai mi vengono i dubbi pure su come mi chiamo e da dove vengo!

fabfabfab alle 13:56 del 18 aprile 2011 ha scritto:

"MTV Dubstep" è solo una delle mie sciocche battute. Ma - in estrema sintesi - mi pare di capire che stia succedendo qualcosa di simile: soul e r'n'b "mainstream" che fiutano la necessita di rinnovarsi e sfruttano le sonorità codificate da "Untrue"... ??

FeR alle 18:03 del 18 aprile 2011 ha scritto:

Bellissimo disco, bella recensione. Il dubstep ormai ha penetrato il linguaggio di una parte del pop inglese, esattamente a metà strada fra l'indie e il mainstream. Ora vedremo cosa succederà... (la Monae che leggo nei commenti qui sotto non credo c'entri nulla comunque).

Filippo Maradei (ha votato 8 questo disco) alle 18:36 del 18 aprile 2011 ha scritto:

Re: la Monae che leggo nei commenti qui sotto non credo c'entri nulla comunque

Eh già, ma io devo "lassa stà", per cui...

synth_charmer (ha votato 8 questo disco) alle 19:07 del 18 aprile 2011 ha scritto:

e invece se parli con Woon (e con me qui è il dubstep a non entrarci niente. Curioso no? La Monàe l'ho tirata in ballo solo perché stiamo parlando di r'n'b che si rivolge al pop e al soul. Con risultati diversi e anche effetti d'ascolto che sembrano lontanissimi, ma intanto hanno entrambi (cit. ) "messo mano agli stessi ingredienti". Concentriamoci sulla rece di sfos, comunque, che nessuno è interessato agli sproloqui su una frase scritta al volo da un utente in ufficio!

sfos, autore, alle 15:46 del 19 aprile 2011 ha scritto:

Grazie degli apprezzamenti. Lo seguo da diverso tempo questo ragazzo, e son contento che alla fine non mi abbia deluso col disco d'esordio.

loson (ha votato 8 questo disco) alle 15:55 del 22 aprile 2011 ha scritto:

Non saprei proprio cosa aggiungere alla tua bellissima rece, Gioele, se non che "Gravity" è diventata canzone della vita. Ormai è un po' tardi, ma se mai dovessi registrare qualcosa di mio, mi accontenterei anche solo di sfiorare la grandiosità che Woon è riuscito a fare propria con questo pezzo.

salvatore (ha votato 8 questo disco) alle 13:42 del 14 gennaio 2012 ha scritto:

Che dire? Dovrò ritoccare la mia top ten 2011... E chi se lo sarebbe mai aspettato? Disco strepitoso, con un piccolissimo calo nella parte centrale. La tripletta iniziale (con "Street", forse il brano più bello dell'album) è da capogiro, ma le meraviglie sono disseminate lungo tutta la scaletta (Shoulda, Spiral, TMRW e la commovente Gravity).

Disco vibrante, pulsante di vita notturna, cantato, arrangiato e curato in modo perfetto.

Bellissima sorpresa e artista da seguire con attenzione!

REBBY (ha votato 7 questo disco) alle 16:47 del 5 marzo 2012 ha scritto:

Gravity è il brano fuoriclasse di quest'album. Consiglio anche ai non adepti di questo filone musicale, oggi a la page, di ascoltarlo a modo in un buon impianto hi-fi, perchè merita davvero. Su livelli più terreni mi piace molto anche Shoulda, che (tanto per cambiare) trae ispirazione dall'immaginario sonoro degli anni 80. Poi per me è abbastanza, ma è un album che rappresenta in modo efficace parte dell'annata musicale appena trascorsa, tra slanci cantautorali, cantati r&b, substrati percussivi post dub-step (eheh) e ammiccamenti al mainstream e ai dance clubs più raffinati ( o fighetti fate voi eheh).

Stefano_85 (ha votato 8 questo disco) alle 11:43 del 16 marzo 2021 ha scritto:

L'ho rispolverato in questi giorni e le mie impressioni sono state confermate: un ottimo esordio. Personalmente lo trovo più concreto e incisivo di James Blake, che mi sembra troppo fumoso, astratto, a tratti snervante. "Shoulda" è il brano da heavy rotation, non riesco a smettere di ascoltarla. Bella anche la recensione.