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R Recensione

8/10

Caparezza

Exuvia

Ho capito che il secondo album era più facile dellottavo

Si apre così l’ottava fatica in studio del nostro ormai maturo Michele Salvemini: dico maturo poiché ormai lo è anagraficamente, ma anche - finalmente - a livello stilistico e contenutistico.

Già: perché Caparezza, dopo una serie di peripezie e output più o meno convincenti, sforna finalmente l’album più personale, oscuro, scintillante ed introspettivo al contempo da “Habemus Capa” fino ad oggi. Se fate un conto veloce, sono quindici lunghi anni, e di acqua sotto i ponti, nel frattempo, se ne è vista scorrere parecchia.

L’evoluzione della scena (o, per meglio dire, l’involuzione? Vedi “Come Pripyat”) hip-hop e rap italiana è evidente, con un approdo, negli ultimi anni, a filoni più conscious da un lato, trap dall’altro.

Caparezza, come sempre, fa parte di una lega a parte. Odiato o amato alla follia, solitamente i suoi lavori polarizzano l’opinione pubblica. Difficile inscrivere la sua carriera in un solo genere, ben difinito. E quale anno migliore del 2021, settecentesimo anniversario della morte di Dante, per rilasciare un concept album come “Exuvia”, che pare un cammino travagliato nella Selva oscura, per infine uscire a Riveder le stelle?

In realtà, il nostro rivela di essersi ispirato a piene mani dallo sceneggiato de Il viaggio di G. Mastorna del leggendario Fellini, definito da più voci critiche, nientemeno, come la più famosa pellicola mai realizzata a livello italiano, anche se i parallelismi con la famosa selva dantesca appaiono evidenti...

Tralasciando per un momento le metafore immediate e quasi scontate, come quella della morte e della rinascita, della propria immagine artistica che negli anni cresce e si modifica per lasciare un’esuvia ormai troppo stretta alle proprie spalle, in cui non ci si riconosce più, artisticamente parlando - l’album appare subito diviso in tre macroparti - quasi a simboleggiare il passato, l’attualità e il futuro del destino artistico di Michele, ma anche del fato della musica e dell’arte in generale - senza voler esagerare - perlomeno in Italia.

Si inizia con una sintesi di maniera di tutti i lavori precedenti, un citazionismo che appare autoreferenziale, eppure esercizio di stile costruito impeccabilmente. Già da “Fugadà” si percepisce una svolta nelle tematiche trattate, più seriose ed adulte dei dischi precedenti, affrontate in chiave più cinica, pur mantenendo la tipica ironia sferzante di base che contraddistingue l’intero corpus di Caparezza.

I vocalizzi di un coro femminile si snodano come un leitmotiv tra questa traccia e l’accoppiata successiva, lo skit “Una Voce” che confluisce ne “El Sendero” con una tale naturalezza e poeticità che non mancheranno di commuovere più di qualche ascoltatore; quest’ultima traccia rappresenta inoltre la miglior collaborazione dell’album, con echi che rimandano alla vecchia “Eroe” - anche se purtroppo il contributo dell’artista messicana Mishel Domenssain è limitato ad un campione di un ritornello contenuto in un etereo brano dell’omonima artista, “La Selva” (canzone che vi consiglio caldamente di ascoltare, contenuta nella raccolta “Un Día Más”).

Campione dei Novanta” chiude - ad avviso di chi scrive - la prima parte del disco in maniera magistrale: l’esuvia di Mikimix viene finalmente esorcizzata con brio e autoironia, in maniera personale e toccante, in una hit che è al tempo stesso radiofonica e profonda, una satira sferzante contro il mondo musicale composto da major ciniche, colleghi pronti a far le scarpe a chiunque, festival e politica truccati, il sé stesso di quegli anni - rinnegato - e molto altro ancora. Una liberazione, che finora Michele non era mai riuscito ad affrontare in maniera così esplicita, netta e vera.

La seconda parte del disco risente di un livello non all’altezza del resto dell’opera, per quanto siano apprezzabili i tentativi di innovare alcune basi in funzione di (probabili) futuri live (“Contronatura”, “La Scelta”). La domanda che sorge spontanea è: davvero, nel 2021, in un disco del genere bisogna ancora e per forza inserire singoli più leggeri o numeri pretenziosi per vendere ed essere considerati in tendenza nelle classifiche? A quanto pare sì. Ma, d’altronde, molti fan di Caparezza soffrono di complessi che li portano a credere di poter acquisire cultura per osmosi, dai suoi lunghi riccioli, semplicemente ascoltando passivamente canzoni con un numero n tendente ad infinito di citazioni su tutto ciò che concerne lo scibile umano. Peccato...

Torniamo a noi. “Azzera Pace” ricorda una qualche hit umoristica di Eminem dei primi 2000, specialmente nel beat. “Eyes Wide Shut” è la svolta rock/metal che Caparezza inserisce ormai da parecchio tempo a questa parte in ogni album, con un testo sopra la media per il genere (abbinata a “Zeit!”).

La già citata “Come Pripyat” è una perla, nonché pesante dissing contro la scena musicale attuale, ma le vere gemme di questa terza parte sono senza dubbio “Il Mondo Dopo Lewis Carroll” e “La Certa”, la prima leggermente più psichedelica e criptica, la seconda abbastanza comprensibile anche all’ascoltatore più disattento, ma non per questo meno monolitica e poetica.

Exuvia” è posta a conclusione dell’opera, ma in realtà ha tutta l’aria di essere un preludio ad un possibile nuovo e futuro lavoro, che faccia ulteriormente evolvere il nuovo stile di Caparezza, partendo dai presupposti e gli spunti qui analizzati, che di certo non mancano, e non peccano di mancanza di originalità.

Sebbene siano evidenti le similitudini con il precedente lavoro “gemello” “Prisoner 709”, l’evoluzione rispetto all’album precedente è altrettanto evidente: qui siamo ad nuovo livello, più decantato, strutturato, invecchiato in senso buono, macerato come un distillato o un vino di pregio. In quest’album si sprecano le citazioni letterarie, artistiche, mitologiche, le critiche sociali, il disagio giovanile, il rapporto con tematiche trascendentali, ideali, sogni infranti e coronati. La transizione è completa: da giovane, acerbo, frizzante, “frivolo” e felice, ad adulto disilluso, ma consapevole di chi è e di quali tematiche vuole scandagliare.

Posso rassicurarti, Michele: è possibile che ti sia sentito Ulisse in un punto qualunque della tua lunga carriera, come molti di noialtri, del resto (specialmente in quest’ultimo periodo), ma la scena e il pubblico non si comporteranno con te come Laerte. In passato potrà essere successo, ma dopo questi giorni, è impossibile tornare indietro.

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Timbuckley74 (ha votato 10 questo disco) alle 16:20 del 2 giugno 2021 ha scritto:

Per me uno dei dischi migliori di Caparezza, un capolavoro dalla prima all'ultima canzone, necessita di più ascolti perchè è un disco molto vasto e vario, la cura nei particolari sia musicali che nei testi è eccezionale, Caparezza un genio, non c'è altro da dire.