V Video

R Recensione

9/10

Frankie HI-NRG MC

Verba manent

La critica musicale italiana, fondamentalmente, si divide quasi sempre in due filoni quando si tratta di recensire un prodotto nostrano: da una parte c’è chi tende a disprezzare qualsiasi cosa provenga dal Bel Paese, con la convinzione che l’erba del vicino sia sempre più verde, colto da un’inguaribile forma di esterofilia; dall’altra abbiamo chi spinge a più non posso la band/artista di turno vedendolo come il salvatore del panorama musicale nazionale, spesso sopravvalutando il tutto. Il terzo filone esiste, e teoricamente sarebbe il migliore da seguire: giudicare un prodotto per quello che è, indipendentemente da chi lo rilascia e da dove proviene, anche se tutto ciò spesso e volentieri non collima perfettamente con le preferenze e il gusto di chi batte le dita sulla tastiera del pc e ha il compito di dire la sua sul disco di turno. Quest’album di Frankie HI-NRG, è il genere di disco capace di far accapponare la pelle a quelli del primo filone, esaltare quelli del secondo, e compiacere quelli del terzo.

Il disco in questione è bello perché piace (come direbbe il buon Immanuel Kant), e soprattutto perché frutto di un terreno musicale da sempre arido in Italia. Prima di “Verba Manent” l’hip hop italiano non aveva mai trovato la propria bussola, sia per mancanza di veri talenti, sia perché lo sguardo era sempre rivolto all’America dove in quel periodo iniziava a prendere forma la faida tra East e West Coast. I due album imprescindibili di quegli anni erano sicuramente “Doggystyle” (1993) di Snoop Dogg, e “The Chronic” (1992) del futuro magnate del rap mondiale, Dr.Dre.

Il colpo di genio di Frankie vede la luce proprio a cavallo tra queste due pietre miliari. Verba Volant Scripta Manent. Le parole volano, gli scritti restano. Verba Manent. Le parole restano. Già dal titolo, creato con un semplice gioco di parole di un famoso proverbio latino, Frankie HI-NRG esprime un concetto tagliente come la lama di un rasoio: anche la parola, da tanti vista come qualcosa di vaporoso, che va scomparendo già un secondo dopo essere pronunciata, ha il suo valore. Eccome se ce l’ha. L’intero album è un’ode alla parola, vista come un formidabile e devastante mezzo comunicativo sociale. 

“Entro” è l’inizio: uno skit composto da una voce che chiarisce sin da subito la natura del disco, e cioè un documento. Si ha la sensazione di salire su una nave, e di affrontare un viaggio breve ma quanto mai burrascoso e pieno di onde alte e pericolose. I 51 minuti di navigazione scorrono rapidissimi: in “Faccio la mia cosa” il rapper parla del suo concetto di musica, un pugno nell’occhio verso i soliti sapientoni che criticano a priori l’entrata nel mainstream, vista da Frankie come una concreta possibilità di “render piu' accessibile il messaggio al largo pubblico, a quell'utenza in astinenza di concetti costruttivi la cui assenza crea effetti negativi”.  Il sound del disco è molto sobrio, coadiuvato dal preciso e mai banale, per quanto a tratti semplicistico lavoro di Dj Stile, e confrontato ai lavori degli MC moderni, infarciti di synth e basi tamarre, sembra passata un’eternità. 

E invece era solo il 1993. I temi dell’album sono duri e diretti, e la vera fortuna di “Verba Manent” è sicuramente questa: testi che arrivano allo stomaco senza filtro alcuno, il tempo di assimilare il tutto non c’è, è una scarica diretta di fulmini a ciel sereno: “Fight da faida”, col tempo diventato uno dei cavalli di battaglia di Frankie, è una cruda quanto reale denuncia verso il sistema corrotto mosso come una qualsiasi marionetta dalla piovra mafiosa e camorristica: “è la vigilia di una rivoluzione/ alla voce del Padrino, ma don Vito Corleone oggi è molto più vicino/ sta seduto in Parlamento!”, il tutto accompagnato dal particolarissimo suono del marranzano, uno scacciapensieri. 

Come detto in precedenza la forza dell’album è tutta nei testi, e Frankie con le parole è uno che ci sa davvero fare. Il fulcro e significato dell’intera fatica studio è riassumibile nella dodicesima traccia “Potere alla parola”, in cui a sorpresa troviamo anche un campionamento del brano “Elephant Talk” dei King Crimson ”: “il silenzio è dei perdenti/ muti e sorridenti/ immunodeficienti agli attacchi dei potenti”. 

Chiarissimo, no? “Libri di sangue” (di cui è presente anche una versione remix nella terzultima traccia) è l’ennesimo tema scottante tra sfruttamento delle donne e razzismo, nel quale troviamo anche una citazione su Rodney King, tassista afroamericano passato alle cronache del 1991 per essere stato pestato da alcuni agenti di polizia dopo essere stato fermato per eccesso di velocità, e “colpevole del crimine di esser nato nero nella buia capitale dell'impero del denaro.” La canzone è preceduta da “Il bianco e nero”, che contiene un discorso contro il razzismo del presidente Sandro Pertini.

L’album è da considerare assolutamente una pietra miliare del genere, sia perché in Italia ancora oggi è difficile trovare album di una certa caratura, con testi tanto sofisticati ma allo stesso tempo concisi. In più, “Verba Manent” anticipa di ben tre anni il capolavoro dei Colle der FomentoOdio Pieno”, e di sei anni “Dio Lodato”, album di un altro grandissimo come Joe Cassano. Come detto in precedenza, paragonare un album del genere ai lavori dell’hip hop moderno è riduttivo quanto inutile: nel lavoro di Frankie non c’è spazio per storielle su sparatorie tra gangster, donne facili  e collane d’oro, che invece tanta fortuna trovano nei testi dei vari Club Dogo (tranne negli ottimi “Penna Capitale” e “Mi Fist”), Marracash, e chi più ne ha più ne metta. 

C’è spazio solo per il ritratto di una società vista sull’orlo di un inevitabile collasso, ma che può salvarsi solo con la forza dell’informazione e della parola, vista come un essere invincibile, se solo si vuole. Quattro anni dopo arriverà il successo grazie al singolo “Quelli che benpensano”, l’ennesima denuncia sociale del rapper torinese, contenuta nell’ottimo la “La morte dei miracoli”, ma lo splendido percorso e l’intoccabile qualità di “Verba Manent” non vedranno più seguito. Il disco conclude il suo giro con l’ultimo skit “Esco”, dove viene mandata in loop la frase “mi sembra d’aver capito che tra dieci secondi avremo il silenzio” proprio a farci comprendere che il viaggio è finito, ed è ora di scendere dalla nave. Ma dopo un viaggio del genere, proprio come un capitano innamorato del suo veliero, non si scende più, almeno con la mente.

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luca.r 6,5/10

C Commenti

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zagor (ha votato 7,5 questo disco) alle 17:47 del 22 febbraio 2013 ha scritto:

bel disco, questo avrebbe dovuto essere l'hip hop mainstream in italia, non gli articolo 31 o fabri fibra.

fabfabfab (ha votato 8 questo disco) alle 12:26 del 25 febbraio 2013 ha scritto:

Sono d'accordo, gran disco.

simone coacci (ha votato 8 questo disco) alle 17:38 del 5 marzo 2013 ha scritto:

Pietra miliare della oldschool nostrana e miglior album di quel primo "biennio d'oro (o rosso)" dell'hip-hop italiano insieme a "SXM" dei Sangue Misto. "Fight Da Faida" e "Libri Di Sangue" sono inni che racchiudono tutta la rabbia e il senso di disgusto e malcostume di quegli anni, anni di tangentopoli, stragi di stato-mafia, trattative stato-mafia, gli anni che spianarono la strada all'ascesa del Nano Oscuro. Anni non troppo diversi da questi a pensarci bene. "Dalla strada all'intifada/ you got to fight the faida". Altro che Grillo.

zagor (ha votato 7,5 questo disco) alle 19:38 del 5 marzo 2013 ha scritto:

penso che frankie sia leggermente più colto di tutti i neo parlamentarti grillini.....

loson alle 1:52 del 26 marzo 2013 ha scritto:

Concordo su Fabri Fibra: secondo album talmente eccessivo, grottesco e idiota da risultare uno dei miei preferiti dell'hip-hop italico (che in genere disprezzo, a parte alcune cosette strane). Altra eccezione il buon Frankie, non tanto questo quanto il successivo "La Morte Dei Miracoli", disco che ho letteralmente consumato a suo tempo e che ancora oggi suona eccitante e "compiuto". "Autodafé" è LA canzone hip-hop per antonomasia, almeno entro i confini dello stivale.

moonwave99 alle 22:58 del 25 marzo 2013 ha scritto:

Concordo su tutto, disco seminale, lui è sempre stato un personaggio assolutamente acuto, e questa è tra le poche proposte vincenti nel panorama [anche] mainstream italiano nel genere; e dire che gente si bagnava per Jovanotti ed il suo qualunquismo cosmico... Di passo occhio che il Fibroga si è inebetito dal 2006 in poi, ma i primi 2 album sono molto validi - il primo intrinsecamente per testi e produzione, il secondo è vomito misantropo e violento che può non piacere, ma il segno lo lascia.

Lezabeth Scott alle 10:44 del 26 marzo 2013 ha scritto:

"Turbe Giovanili" e "Mr Simpatia", seppure antitetici, nel passaggio da persona a personaggio, da rapper raffinato a maestro del dissing finto nichilista che "copio Eminem perchè non c'ho più fantasia/ e faccio 50 Cent a Fibra parodia", sono i due pilastri della discografia di Fibra. Sui quali può campare di rendita e atteggiarsi a pop-star negativa (come direbbe Trucebaldazzi), azzeccando qualche singolo (o qualche verso/ritornello) qua e là.

Lezabeth Scott alle 10:47 del 26 marzo 2013 ha scritto:

Ah, scusate, ps: e Frankie è (o era) il numero 1.

Franz Bungaro alle 14:38 del 26 marzo 2013 ha scritto:

Io credo che la tripartizione della critica musicale italiana, proposta all'inizio di questa recensione, sia sbagliata in partenza, e sia pure un pò fascista. Mi spiego. Secondo la stessa io dovrei essere un esterofilo, perchè se cerco l'hip pop, l'hardcore, il funky, il blues, vado a pescarli generalmente oltreoceano. Ma se faccio ciò è perchè certa musica ha un valore intrinseco dato dalla produzione della stessa da parte di chi l'ha codificata, con certi canoni, che l'hanno resa famosa ed apprezzata universalmente. Se cerco un gruppo di pizzica salentina, (di cui sono follemente innamorato), non vado ad ascoltarmi il gruppo di sfigati bergamaschi innamorati di questa musica in una vacanza a Gallipoli tanto da farci poi una band. Saranno pure bravi e devoti, ma non si possono sentire.

Nella mia storia musicale, complici amici erasmus stranieri, colleghi stranieri, parenti all'estero e link ai link dei link nelle folli navigate per il web, mi sono imbattuto in rapper russi, ciprioti, albanesi, sardi, pugliesi... così come rock band ungheresi, estoni e cantanti soul indiani, malesi, giapponesi....Tutti gli interessati insistevano nel voler farmi ascoltare la cosa più bella del mondo....io invece dovevo sforzarmi di non ridere, tanto ridicola mi sembrava la cosa. Sempre.

Non è questione di esterofilia o nazionalismo, è questione di codici universalmente riconosciuti. Tu italiano potrai pure fare musica rap in italiano, e sarai bravissimo e apprezzatissimo in patria (come Frankie Hi-NRG, che adoro), ma il fenomeno rimarrà sempre confinato ad una esperienza italiana, provinciale, apprezzabile solo in italia e da qualche nerd straniero che gioca a fare il figo negli USA nel dire all'amico, nerd come lui, "l'hai sentito questo rapper italiano?" che è un pò come se un fan della Pausini dicesse ..."l'hai sentita La solitudine" cantata da questo cantante ukraino? Cose folli, da qualunque lato si guardi la cosa.

Ciò non toglie che un italiano possa, lavorando tanto, far propri i codici che non gli appartengono naturalmente entrando così nel mondo di un determinato genere non come "italiano" che fa, ma come "artista" che fa quel genere di musica. Finchè avremo questa percezione "provinciale" dell'approccio a determinati schemi, resteremo confinati nei nostri splendidi spaghetti-X. Ciò non toglie che cose fantastiche negli anni, nei diversi generi "non nostri", sono state fatte in Italia, ma quando penso ad uno straniero che ascolta Frankie Hi-NRG o gli Assalti Frontali (sono nomi veramente a caso) mi viene in mente l'immagine di me che quando ascoltai quel rapper cipriota. Ero fortemente in imbarazzo.

Da italiano, amo Frankie Hi-NRG, ma è una considerazione amara, perchè vorrei amarlo da amante della musica a tutto tondo in una condivisione globale dell'esperienza musicale. In Italia siamo lontanissimi da ciò. Scusate lo sfogo, come al solito generico, e il grosso spazio che ho rubato qui.

loson alle 15:13 del 26 marzo 2013 ha scritto:

Se non ricordo male Ezio Guaitamacchi di Jam aveva sposato questa linea di pensiero, pompandoci all'inverosimile e, lo confesso, arrivando a sfracellare testicoli in ogni dove. Tutto sta nel decidere quando e dove ritenere che un artista smette di "copiare" o imitare il modello. Un rapper italiano può far accapponare la pelle esattamente come i Giardini Di Mirò o una band grind giapponese, siamo noi a decidere che il primo è puro scimmiottamento, i secondi raffinati rielaboratori e la terza... boh?!. Che tu lo voglia o no, sei italiano, e la tua percezione complessiva della musica è, bene o male, anche frutto delle convenzioni linguistiche, culturali e sociali che hai assorbito durante la tua vita e la tua formazione. La scena hip-hop francese è diventata la più significativa al mondo dopo quella americana, e non certo rivoluzionando i codici formali, né ibridandoli con la chanson o lo ye-ye (giusto per citare due delle "tradizioni" musicali più tipiche).

Franz Bungaro alle 15:39 del 26 marzo 2013 ha scritto:

"La scena hip-hop francese è diventata la più significativa al mondo dopo quella americana". Questo dato, che prendo per buono non avendo dati riscontrabili al riguardo, serve a giustificare ciò che dico, qui e in altre discussioni. Con me sfondi una porta aperta al riguardo. La scena francese. Quand'è che succederà con quella italiana? Posso azzardare un "mai"? Non è che il mondo si sia magicamente rivolto alla scena francese perchè cercava una nuova località amena dove attraccare e ha scelto la Francia, ma semmai sono i francesi che hanno iniziato a pensare da "musicisti del mondo". Siamo provinciali, fidati. Quando te ne rendi conto sei già coperto di ridicolo fino al collo. Ciò non toglie che possiamo benissimo continuare a fare i profeti in patria, e lamentarci di non esistere fuori (cosa che sento dire in tutte le interviste dei nostri). Personalmente mi va pure bene, tanto di musica ottima in giro ce n'è tanta, ma io sono per un approccio "beyond borders" alla musica di respiro internazionale, e sentire cose che sono invece ibridi che son buoni solo per noi, mi fa esclamare un "peccato"...perchè potremmo essere protagonisti della scena...invece suoniamo il rap alle sagre dei culatelli. Niente di male, a me poi il culatello piace da impazzire.

loson alle 21:28 del 26 marzo 2013 ha scritto:

Guarda, questa manifesta superiorità della musica francese rispetto a quella italiana per me è una favola... I francesi hanno che sanno vendersi benissimo e soprattutto riescono a valorizzarsi molto meglio di noi, ma questo l'hanno sempre fatto. Le ragioni per cui l'hip-hop ha attecchito in Francia e non in Italia sono molteplici, e vanno da considerazioni di ordine storico e sociale (su tutti la grande presenza di africani in Francia, e le conseguenze dell'imperialismo non sono "condizioni ambientali" ricreabili in quattro e quattr'otto, ecco...), a fattori linguistici (la maggior fluidità del francese, che in materia di flow non è proprio uno svantaggio). Il discorso su cosa sia valido o no in Italia dipende, ancora una volta, dalla nostra collocazione come ascoltatori (per capirci: un ascoltatore ammerigano potrebbe dirti che gli Afterhours sono una brutta copia degli Afghan Whigs), posto che per me l'hip-hop italiano è al 90% monnezza (gli Assalti Frontali, mamma mia... XD). Simone però non ha detto affatto che la soluzione è de-italianizzarsi, al contrario: valorizzare quanto di buono abbiamo da noi e utilizzarlo come filtro per rileggere e riadattare idiomi che (ancora) non ci appartengono, tipo quello che hanno fatto Battiato, Battisti gli esponenti più interessanti della scena prog dei '70s come le voci (più o meno) dissidenti della new wave, etc etc. Quando il post-punk è arrivato ai paesi al di là della Cortina di ferro, se ne sono ascoltate delle belle. Il nostro provincialismo, che pure esiste, si manifesta anche nel trattamento sommario che riserviamo a scene che riteniamo inferiori a priori, dando per scontato che il rock in quanto musica anglosassone può dare i suoi frutti solo quando è praticato nei paesi anglosassoni o, tutt'al più, quando è cantato in inglese perchè sennò manca il respiro internazionale e allora, si è troppo provinciali.

Franz Bungaro alle 8:40 del 27 marzo 2013 ha scritto:

Non ho mai detto che la musica francese sia superiore a quella italiana. Ti prego dimmi dove l'ho detto perchè lo correggo, non ho mai voluto intendere questo. La prova è il mio ipod, pieno zeppo di italiani che cantano in italiano, e pochi francesi, che a dire il vero catalogo nella musica straniera tout court, non sotto "musica francese". E' qui che sta la grossa differenza. Ho, semmai, detto quello che dici dopo, ovvero che si sanno vendere meglio. E questo succede non perchè siano abili venditori, ma perchè fanno cose che possono apprezzare da tutti, non solo dai francesi (anzi, molti di questi in patria non se li cagano proprio).

Sulla questione hip-pop non sapevo neanche ci fosse una scena francese, nè tantomeno che fosse così influente come dici tu. Quindi il discorso che fai (a dire il vero, consentimelo, un pò fascista pure questo con l'equazione nero=hip pop, io la farei un pò più complessa, mettendoci dentro sobborghi, situazioni di emarginazione e così via, che statisticamente trovano la popolazione di colore maggiormente coinvolta, ma non è una questione di genetica, secondo me) mi potrebbe stare pure bene. In Italia ci sono meno persone di colore ma ti assicuro che le periferie e le borgate di Roma (dove si concentra il 90% dai rapper capitolini) non hanno nulla da invidiare alle situazioni di emarginazione d'oltralpe. Io mi riferivo ad altro, ai vari francesi che riempiono le lineup dei più grossi contesti mondiali di musica live, dove gli italiani, se ci sono, sono al palco "z" visti più come romantiche avanguardie che altro. So bene che Simone non crede nella de-italianizzazione del genere, ho solo mutuato la sua espressione per accostarla al "siete troppo italiani" di Stainis La Rochelle. Per il resto, sono d'accordo con te.

loson alle 9:42 del 27 marzo 2013 ha scritto:

Il discorso che ho fatto sull'hip-hop francese è purtroppo viziato da limiti di tempo, spazio e conoscenza; se ti interessa sapere qualcosa di più cerchi in rete ed è fatta. (Consentimelo: è un po' ironico che tu non ne sappia nulla visto che ti dici conoscitore della Francia, e lì l'hip-hop gode di una popolarità assurda. E cmq non ho parlato di scena "influente", ma "significativa", sono cose diverse). Che bisogno c'è poi di tirare in ballo la genetica? Ho parlato di conseguenze dell'imperialismo con annessa integrazione (o non-integrazione) nel tessuto sociale di immigrati provenienti dall'Africa, i cui discendenti vivono ancora oggi in condizioni di estremo disagio. Le questioni razziali - che in Francia esistono eccome, nonostante l'apparente clima conciliatorio - sono catalizzatori di tensione sociale di proporzioni estreme, ed è un dato di fatto che il grosso del rap francese abbia origine nelle comunità di immigrati nordafricani o dell'Africa occidentale. Ti esorto a utilizzare il termine "fascista" con più parsimonia o almeno cognizione di causa: non incentiva il dialogo, e anzi scoraggia i tuoi interlocutori dal proseguire la discussione.

Franz Bungaro alle 9:58 del 27 marzo 2013 ha scritto:

Ok, esortazione accolta, ho usato il termine fascista con poca parsimonia, hai ragione. Io ti esorto però a prenderla con più leggerezza, si parla di musica, mica di sorti dell'umanità. Mi parli di sfracellamento di testicoli (riferendoti indirettamente alla mia tesi), di ironia che le mie cose ti suscitano (generalmente le cose che godono di grossa popolarità non le calcolo proprio, è più forte di me)...anche queste cose dette al tuo interlocutore scoraggiano il dialogo, fidati.

loson alle 11:37 del 27 marzo 2013 ha scritto:

Mi parli di sfracellamento di testicoli (riferendoti indirettamente alla mia tesi), di ironia che le mie cose ti suscitano (generalmente le cose che godono di grossa popolarità non le calcolo proprio, è più forte di me) ---> Circa lo sfracellamento, ti ricordo che a) ho messo la faccina che ride, e b) mi riferivo essenzialmente a Guaitamacchi che con quella storia ci ha riempito credo dieci editoriali. Sull'aver ironizzato sulle tue cose mi dispiace, ma sei tu che te ne sei uscito con fare assai poco diplomatico e giudizi tranchant su esperienze musicali estere basandoti su 'sta cosa che sei spesso in Francia e quindi la conosci bene, frequenti francesi, sei cosmopolita etc. Mi è soltanto parso strano che ti sia sfuggito un movimento il quale, in certi momenti, ha quasi monopolizzato la stampa musicale, l'opinione pubblica e il dibattito politico transalpino (innumerevoli i politici che hanno citato in tribunale rapper "rei" di aver esternato opinioni anti-governative - quando non proprio anti-francesi - o poco in linea col politically correct). E la "grossa popolarità" di cui parli non va intesa solo come grandi vendite/passaggi in radio&tv, o riferita esclusivamente al versante più mainstream del fenomeno: l'hip-hop francese di cui parlo è anche e soprattutto quello più estremo e senza compromessi, che dai '90s ha saputo imporsi in un modo senza precedenti per l'esperienza europea (per avere un'idea: come se qui da noi il primo Frankie Hi-Nrg o i Sangue Misto avesse venduto centinaia di migliaia di copie e avessero assunto un ruolo centrale nel dibattito musicale, sociale - per non dire politico - della nazione). Io poi non sono certo un esperto di questa scena, né particolarmente appassionato: quello che so deriva da qualche ascolto e dalla lettura di "Rapropos" di Luca Gricinella, al quale ti rimando se t'interessa l'argomento.

simone coacci (ha votato 8 questo disco) alle 15:39 del 26 marzo 2013 ha scritto:

Si ma, infatti, in parte comprendo il discorso di Franz. Tanto che, da appassionato del genere, alla lunga mi sono rotto pure io di ascoltare (e sostenere), in modo quantomeno benevola o protezionistica, un certo tipo d’hip-hop solo perché è italiano. E il risultato è stato una drastica diminuzione degli ascolti. Una scena, quella italiana, oltretutto afflitta da un provincialismo cronico, musicalmente (in molti casi) chiusa per non dire reazionaria, divisa tra rivalità regionali, con un buco enorme a livello qualitativo fra underground schietto e autoreferenziale e mainstream di un certo livello che personaggi come Frankie (e pochi altri) ieri e oggi Dargen (e pochi altri) hanno tentato invano di colmare. Però la soluzione non credo sia de-italianizzarsi per accedere da un codice internazionale, che suonerebbe come un ulteriore snaturamento e scimmiottamento solo più mimetico, quanto calare l’hip-hop nella nostra realtà, usarlo come mezzo espressivo per una ricerca musicale e testuale che può prendere direzioni anche molto diverse da quelle d’origine, a seconda della sensibilità, della cultura e dell’abilità tecnica dell’autore.

dan abnormal, autore, alle 15:15 del 26 marzo 2013 ha scritto:

Franz, il mio giudizio lo fai più radicale di quello che intendevo. Con il concetto di "esterofilia" volevo far capire che spesso a forza di guardare sempre all'estero, ci si dimentica di tante interessanti realtà nostrane (senza dire che qulle italiane siano migliori). Esempio, spesso a forza di portare il nostro l'orecchio al rock estero, non si guarda a band come PFM o CCCP. Si guarda a Dylan, ma non De Andrè (esempio grossolano, visto che è impossibile non conocere De Andrè), e via dicendo. Spero tu abbia capito cosa intendo

Franz Bungaro alle 15:41 del 26 marzo 2013 ha scritto:

Si si, l'ho capito. Scusa anzi, ho aggredito la tua recensione e la tua scena per vomitare un mio pensiero, complesso. Scusami tanto, ma sono un vomitatore di parole!

dan abnormal, autore, alle 15:52 del 26 marzo 2013 ha scritto:

Figurati, siamo qui per discutere

E poi una cosa vorrei specificare: l'Hip Hop non è certamente tra i miei generi preferiti, quindi il mio giudizio è tutt'altro che di parte quando parlo della scena italiana. Che come ho già spiegato la vedo decisamente troppo assopita, tra storie di mignotte e pseudo risse buone per far bagnare le ragazzine su Mtv. Eppure recentemente ho avuto modo di ascoltare due album di Salmo, e nei contenuti non lo trovo per niente male

Franz Bungaro alle 16:50 del 26 marzo 2013 ha scritto:

Salmo piace tanto anche a me, come mi piace tanto Frankie Hi-NRG, ma anche i Marlene Kuntz, gli Afterhours, gli Zen Circus, i 24 Grana, gli Almamegretta, i Bachi da Pietra, i Bud Spencer B.E., gli Offlaga Disco Pax...e te ne potrei citare migliaia di italiani che suonano musica che potrebbe spaccare fuori, ma che invece sta qui per solo per noi, e personalmente ritengo sia un peccato, tutto qui..Nel discorso non tiro dentro i cantautori (hai citato De Andrè) perchè quello, sempre secondo me, è un discorso diverso. La musica e la musicalità delle parole, il messaggio musicale ricamato con l'uso artistico di una lingua, è difficile renderlo in un modo e in un mondo che non ti appartiene, anche dopo uno sforzo immane per integrarti altrove, perquanto non si può escludere di arrivare anche da quelle parti. Con i ritmi di internazionalizzazione del nostro paese, non potrà avvenire prima di 4/5 secoli, ora più ora meno.

Attenzione però, la musica italiana non convenzionale ci deve essere, fosse anche solo per un discorso educativo, per un percorso di formazione dei giovani o per una maggiore facilità e coinvolgimento emotivo nell'approccio. Ma dobbiamo fare anche degli sforzi per de-italianizzarci, come dice Simone (condivido quello che dice, anche se la sua è più una soluzione per migliorare la costola italiana del genere, cmq una soluzione auspicabile) e come direbbe Stanis La Rochelle. Anche questa strada va però battuta e ci sono italiani che hanno cominciato la perigliosa avventura dei musicisti internazionali (mi vengono ora in mente i nomi di Alborosie, di Porcelain Raft, degli Zeus!, ma ce ne sono tanti altri)...ma sono ancora pochissimi...e per quanto gli Afterhours ora in giro si vantino del fatto che l'edizione deluxe di Padania uscirà in 500 copie anche in Giappone, io la trovo più una cosa per feticisti che una conquista del medio oriente...

Chiudo con il dire che questa è e resta una mia personalissima opinione, condizionata sicuramente dall'avere molti contatti con l'estero per vari motivi, sulla quale non escludo di cambiare idea in futuro. Anche perchè meglio avere anche una scena Hip pop italiana piuttosto che avere solo musica leggere italiana, l'unico vero marchio d'esportazione che abbiamo. Purtroppo.

Dr.Paul alle 17:45 del 26 marzo 2013 ha scritto:

-quote franz] non tiro dentro i cantautori (hai citato De Andrè) perchè quello, sempre secondo me, è un discorso diverso. La musica e la musicalità delle parole, il messaggio musicale ricamato con l'uso artistico di una lingua, è difficile renderlo in un modo e in un mondo che non ti appartiene -unquote franz]

eh i francesi invece sono riusciti anche lì...vedi gainsbourg, ferrè, il belga brel, piaf..... secondo me è anche un discorso di pura e semplice qualità! io non ho problemi ad ammettere la nostra inferiorità, palese! )))

REBBY alle 18:18 del 26 marzo 2013 ha scritto:

Però Creuza de ma lo conosce persino David Byrne, sarà perchè è cantato in genovese eheh

zagor (ha votato 7,5 questo disco) alle 20:43 del 26 marzo 2013 ha scritto:

mentre luigi tenco era apprezzato dai tuxedemoon, lucio battisti paragonato da the wire a scott walker, battiato non ne parliamo.....mi sfugge cosa avrebbero i francesi più degli italiani a parte la boria e la grandeur. l'hip hop francese invece non lo conosco, fine ot!

FrancescoB (ha votato 7,5 questo disco) alle 18:14 del 19 giugno 2013 ha scritto:

Fra i pochissimi lavori hip-hop partoriti dallo stivale che ascolto con piacere, e che anzi riesco a classifica come molto belli e/o capolavori (titolo che spetta di diritto a "La Morte dei miracoli"). Le acrobazione verbali del buon Frankie hanno spesso del miracoloso, è l'unico in grado di piegare i ritmi aggressivi e gli scratch della musica hip-hop alle esigenze linguistiche dell'idioma italico, certamente più complesso dell'inglese. L'assemblaggio, insomma, richiede una ricerca e un lavoro certosini, che riescono a pochi.

Per il resto, trovo la nostra scena hip-hop mainstream (ma non solo) un orrore da ogni punto di vista: Frankie (nei primi lavori) ha interiorizzato e personalizzato il linguaggio, la maggioranza dei concorrenti scimmiotta pose, slang e abiti niggaz senza un briciolo di fantasia. La morte della musica intesa come personale creazione, come messaggio. Una copia che definire sbiaditissima significa persino celebrare oltre i suoi meriti: per fortuna il vento li spazzerà via come nulla, e l'ha già fatto in molti casi.