R Recensione

5/10

Erin McCarley

Love, Save the Empty

La distanza tra realtà e sogno, la traduzione in musica del distacco tra un’infanzia felice e il mondo vero, interpretare in note la disillusione di ciò che è fuori dalle mura di casa.

Così spiega la sua vena creativa la giovane ragazza dei sobborghi di Dallas, che cantava in un gruppo di cover country in quel di San Diego. Jamie Kenney sarà il punto di svolta per la carriera di McCarley, dando un contributo essenziale ai testi e alla produzione di questo album d’esordio, che molto è riuscito a dare dopo due anni di preparazione.

Appare il 30 Dicembre del 2008 su iTunes (la release “materiale” seguirà una settimana dopo) e Pony (It’s OK) diventa in breve singolo della settimana nel mercato digitale Apple. Sul Washington Times viene annoverata tra le 4 persone da tenere d’occhio nella prima parte del 2009,  e i dati di vendita sembrano dare ragione alle previsioni più ottimistiche.

A dirla così c’è da credere a un mezzo miracolo, perché dal sito della cantante si leggono parole di sincerità e spontaneità. Che poi dietro invece ci sia un giro di marketing da far concorrenza (con le ovvie proporzioni) ai mostri di MTV rischia di rimanere un segreto di pulcinella.

Dai passaggi nei telefilm (tra quelli noti in Italia Ghost Whisperer e Grey's Anatomy) al fuoco di batteria scatenato da Amazon, AOL e lo stesso iTunes (ovviamente in terra statunitense).

Dalla Universal Republic (la casa discografica) arriva la sentenza apocalittica; il nostro mondo non sarà più lo stesso, per altro confermata da Venus Zine che addirittura preannuncia; è possibile che  stia creando un nuovo genere musicale.

A questo punto resistere a un sorriso sconsolato è impossibile. Che possa piacere è legittimo, in fondo è un lavoro abbastanza inoffensivo, privo di armi e di conseguenza incapace di urtare o infastidire. Ma da qui a dire che c’è qualcosa di originale c’è diversa strada da fare. Per limitarsi ai nomi che McCarley stessa snocciola, ecco la carrellata; Fiona Apple, Patty Griffin, Greg Laswell (con cui ha scritto Bobble Head), Alanis Morisette e la Winehouse (da queste ultime molto poco e sicuramente nulla che abbia a che fare con il rock). C’è perfino spazio per alcune influenze di casa Beatles.

Oddio, stupirsi per il successo ottenuto sarebbe ingenuo. Siamo davanti ad un lavoro molto orecchiabile e la produzione (pulita e curata) rende il suono molto lineare e quasi anonimo. Niente a che fare con le star stellari alla Britney Spears ovviamente, ma esiste un mercato riservato per questo genere, di quelli che ti metti in vasca con la schiuma e le candele, accendi la musica e ti rilassi quasi addormentandoti. La noia può perfino aiutare in questi casi!

Se si tolgono tutte le pretese sponsorizzate resta un disco quasi sufficiente, che rimanda McCarley alla prova successiva, sperando che riesca a conquistare un po’ di vitalità (e personalità ) in più. Se è vero che sono stati due anni faticosi dal punto di vista creativo, deve ancora superare lo scoglio e liberare le emozioni di cui ama molto parlare.

La voce c’è e di sicuro anche la personalità (con tanto di squadra per la sponsorizzazione).

Manca la qualità per uscire dal limbo. Bisogna sperare che il successo di pubblico non le basti.

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