R Recensione

6/10

The Married Monk

Elephant People

Nonostante la mia beata ignoranza i Married Monk sono una realtà consolidata in Francia da ben tre lustri (precisamente dal 1993, anno dell’esordio There’s a rub), e hanno avuto modo di affermarsi arrivando a collaborare anche con Yann Tiersen, che proprio l’ultimo della piazza non è. Giungono ora con Elephant people al quinto album (sesto se consideriamo il mini-lp Tout est calme) in studio, confermando una certa poliedricità stilistica e una buona dose di fiducia nei propri mezzi, elaborando un concept incentrato sull’idea della mostruosità, prendendo spunto dalla figura drammatica di Joseph Carey Merrick (1862-1890), più noto come l’Elephant Man reso immortale dal capolavoro cinematografico omonimo di Lynch nel 1980.

Cito testualmente dalle pagine web del gruppo: “L’idea è di far cambiare idea sulla realtà di questo mondo per penetrare le leggi della natura e considerare il fantastico come una parte invisibile di se stesso.

Intrigante non c’è che dire, ma il risultato musicale non sembra del tutto in linea con le elevate ambizioni artistiche. Non sempre perlomeno, dato che gli spunti davvero interessanti non mancano. A partire dall’elettro-dance di Merrick's Meditations, riflessi dei conterranei M83 alterati da uno spoken-word macabro e darkeggiante. Spoken-word che il gruppo mostra di amare molto, facendone uso nella traccia d’apertura Spiel (anch’essa strutturata su ritmi ballabili seppur meno scoppiettanti) come pure in Double Doom, riecheggiante lo spirito di Serge Gainsbourg spalmato sopra un organo psichedelico alla Pink Floyd.

Elephant people è un’opera ampiamente eterogenea e a conferma delle varie influenze numerose vi sono poi le tracce strumentali: a partire dalla breve Introducing Prodigies si passa per il morbido elettro-ambient con sprazzi di glitch music di Me and Me e Clementine's Words. In mezzo risultati alterni come la tenue e soporifera Conversation Piece e l’onirico folk acustico di Delphine's Angels.

C’è poi un filone di brani in cui emerge nettissima l’ascendenza tenebrosa di Lou Reed: talvolta spudoratamente, come nella berliniana Brother “J”, talaltra deprecabilmente, come nell’elettro-pop di Hail 2 The Hound Man!, oppure ancora di sfuggita, come nell’inizio di Elephant People, splendido pop giovanile con melodie irregolari degne del miglior Stephen Malkmus. A concludere il caleidoscopio di citazioni rimangono il non esaltante elettro-pop alla Julien Ribot di Clementine's Song e la ballatona romantica Pretty Lads che rielabora movenze glam (David Bowie primo periodo) con un brit-pop assai raffinato (Suede).

Si sarà capito come Elephant people sia nel complesso un lavoro sicuramente interessante e vario, con alcuni episodi brillanti e altri più mediocri, che però nel complesso faticano ad amalgamarsi in un’opera coesa, sfogliando generi e stili con una facilità esagerata e forse controproducente. Quasi come un mosaico impazzito di pezzi diversi. Nonostante tutto una retrospettiva i Married Monk se la meritano.

V Voti

Voto degli utenti: 7/10 in media su 2 voti.
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