R Recensione

3/10

L. Pierre

Dip

-Ma cos’è questa roba? Non dovevamo sentire il disco di Aidan Moffat, quello degli Arab Strap?

-Eh, ma infatti è quello che stiamo ascoltando, L.Pierre, ossia il progetto di Aidan Moffat, per l’appunto quello degli Arab Strap.

-Ma che c’azzecca questo disco con gli Arab Strap ?

-Beh, si, in effetti non è quello che mi aspettavo…

-Fosse almeno una cosa ascoltabile!

-Come darti torto!

Avete appena assistito ad un acceso dibattito tra i miei due neuroni sorpresi a chiacchierare durante l’attento ascolto di Dip.

In effetti si può anche giustificarli per aver cercato di distrarsi un po’ durante l’ascolto di un album sicuramente inaspettato dal punto di vista sonoro (vista l’attitudine stilistica di Moffat con gli Arab Strap) ma nel complesso molto deludente. Invece di ascoltare pop di ottima fattura si rimane sorpresi da un disco particolare composto da soli sei pezzi sospesi tra ambient e new age, con sprazzi di classica e elettronica sparsi qua e là. Il risultato di quella che vorrebbe essere un’ambiziosa opera di rielaborazione di generi e stili, non è però all’altezza delle aspettative: si fa fatica a sostenere un disco pomposo, esasperante nella sua lentezza, fastidioso nella sua monotonia, senza nerbo né qualità artistica.

Le uniche cose che si possono salvare sono il suono del mare che pervade Gullsong (peraltro florida di tendenze jazzy in sottofondo) e il riuscito tentativo di coniugare moderna elettronica e un classico violino in Hike. Il resto è da dimenticare, a partire dalla scarna sinfonia e dal coro quasi religioso di Weir’s Way, passando per l’ambient minimalista di Drift e arrivando alla poverissima Ache: poche note di piano che accompagnano un violino sommesso in quella che appare una mancanza di inventiva disarmante. Gust riporta addirittura in mente gli orrori di Medulla (Bjork) che speravamo di essere riusciti a rimuovere.

Sembra doveroso sperare che Moffat riesca a trovare una vena più ispirata, magari cercando di astrarre un po’ meno la propria musica conferendogli quel tocco di concretezza che con Malcolm Middleton riusciva a ricreare nei defunti Arab Strap. L’ottima prova da solista di quest’ultimo (A Brighter Beat) offre un confronto impietoso con questo Dip e fa pensare che la bilancia creativa dell’ormai sciolto gruppo scozzese pendesse più da quella parte. Ma forse in fondo erano anima e corpo di uno stesso individuo. Se è così, per ora preferiamo il corpo.

V Voti

Voto degli utenti: 4,5/10 in media su 2 voti.
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