Glass Animals
Zaba
Io non ho letto The Zabajaba Jungle, racconto per bambini di William Steig (creatore anche di Shrek) che ha ispirato i Glass Animals per il loro sound, ma mi piace immaginarlo come una sorta di Nel Paese delle Creature Selvagge dalle tinte dark. Soprattutto perchè il primo incontro coi Glass Animals è stato con il video di Exxus (presente nellEP Black Mambo e criminalmente esclusa dallalbum di esordio) dove dei beat sinistri comatosi si sposavano alla perfezione con le sovrapposizioni vocali di matrice folk, accompagnati da allucinatissime animazioni in stop motion.
La realtà non devessere così distante da quello che immagino, se diamo credito a ciò che ascoltiamo: lesordio del quartetto di Oxford, prodotto da Paul Epworth (Bloc Party, Chapel Club, The Rapture) è un viaggio di esploratori britannici che si infiltrano fra la vegetazione e i ritmi esotici. Gli Alt-J in veste di Indiana Jones, i Foals col machete che tagliano i rami insidiosi, i Wild Beasts signorili a cavallo di un elefante. Il passo è a volte quello lento e cadenzato di un trip-hop della foresta, a volte è quello di un afro-pop sciamanico in un canovaccio capace di richiamare alla mente dai Massive Attack ai Vampire Weekend, per dettagli, attitudini, sfumature. Parole dordine, in ogni caso, esotismo e ritmo (una posizione di partenza simile ai compatrioti Troumaca).
La voce di David Bayley è un ibrido fra la sensualità di Thorpe dei Wild Beasts e lo pseudo-flow di Newman degli Alt-J, che tende a momenti più da un lato che dellaltro. Colpisce la capacità di creare veri e propri mantra vocali, ricercati sillaba per sillaba, la cui crescita è affidata ai dettagli sonori, rifinitissimi, fra fruscii ambientali, versi di animali, percussioni e interventi delicati di elettronica che mostrano una produzione eccellente e unidea sonora decisamente matura per un esordio.
Addentriamoci allora in questa giungla, con Flip in cui già si rivela la formula, il passo circospetto, i rumori selvaggi che cedono il posto ad una corsa col cuore in gola I wanna go back, I wanna go back. Lincontro perfetto fra i numi tutelari Wild Beasts e Alt-J lo si trova in Black Mambo prodotta con ancora più meticolosità per essere inserita nellalbum, sinuosa, lenta, il basso lascivo, il falsetti finali androgini. Pools ricama sul world latente di "Taro" tirandone fuori un arazzo più colorato e più ritmico.
La prima parte dellalbum mette in fila uno dopo laltro dei pezzi da 90, ma per quanto sia difficile scegliere, lorecchio non può che posarsi su Gooey, giustamente estratto come singolo. E un downtempo dalla linea vocale sensuale e dalle percussioni subaquee, un RnB carnale decorato da tastiere aeree. Il verso si trasfigura nel bridge e nel ritornello in un effetto ipnotizzante, i cambiamenti quasi impercettibili eppure fondamentali.
Lossessione erotica dei Wild Beasts è portata a livelli patologici Ride my little Pooh bear, I wanna take a chance. Cosa?
Nel cuore delle terre selvagge la danza tribale Walla Walla scomoda i Radiohead nel break di batteria. Ci si avventura in un antro ammaliante, i ritmi calano, Hazey è un downtempo dei più prossimi al RnB, Wyrd attacca come i Massive Attack ma finisce in un ritornello sudaticcio dalle tentazioni radiofoniche. Cocoa Hooves gioca col pop vintage su scenari lounge, ci si allontana sempre di più dai lidi art-pop in JDNT (a me continuano a venire in mente i Morcheeba, ma prendetelo con le pinze).
Anche se la luce filtra tra le fronde degli alberi, il lato più affascinante resta quello misterioso, profondo e oscuro, dove degli occhi famelici stanno in silenzio ad osservare.
Il pop inglese è vivo, ha scritto sopra arty, grosso come una casa e continua a fagocitare generi e stili come da tradizione; i Glass Animals sono solo lultimo dei nomi. Qualunque sia il sentiero che intraprenderanno, dovessero addirittura riuscire ad attraversarla indenni questa foresta, sono pieni di risorse e noi, come le belve, staremo lì appostati ad aspettare la prossima mossa.
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