Maria Usbeck
Amparo
Art pop sudamericano, di ricerca e di radici, quello di Maria Usbeck. Ecuadoriana (a diciassette il trasferimento negli States), al suo primo lavoro solista (in precedenza nelle Selebrities) affidato per le registrazioni e per la (co)produzione a Caroline Polachek dei Chairlift.
Nasce, Amparo, come rielaborazione urbana (Brooklyn) di un viaggio alla scoperta del proprio sé (Spagna, Portogallo, Islanda, Marocco) e della propria cultura (il ritorno a casa, lAmerica Latina: Ecuador, Argentina, Cile, Costa Rica). Cultura musicale, specie per quanto concerne lapproccio percussivo (che con congas, bonghi, timbales, tumba, struttura ogni parte del lavoro), e cultura linguistica - ché il disco è cantato in prevalenza in spagnolo, e nelluso colloquiale ecuadoregno.
Quelli che Usbeck propone sono quaranta minuti di melodie eleganti (fiati multicolor, ricami di marimba, xilofono, chitarra acustica) a braccetto con textures di field recording naturalistico (Isla magica); synth-arty (le cascate cromatiche e i vapori wave di Jungla Inqueta: apice) dal sofisticato senso pop (Moai Y Yo).
Notevole, in Amparo, la misura e la ricchezza espressiva, l'equilibrio estetico raggiunto - dotato di un'impronta, oserei, metafisica, trascendentale ed insieme estremamente terrena (Llàmame; anche quando alza i ritmi: Playa Escondida).
Una scrittura avvolgente, quella di Maria Usbeck, che a tratti incanta davvero ("Ciudad Desnuda", e il suo piano sofficissimo, il sax sophisti; di nuovo "Jungla Inquieta"): provare - esce anche per Cascine - per credere.
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