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R Recensione

6/10

Sparks

The Seduction Of Ingmar Bergman

Gli Sparks, ormai, come i grandi campioni, fanno gara a sé, non solo per la carriera quarantennale (!) che li rende un unicum inimitabile nel panorama pop-rock odierno, ma anche perché è diventato difficile inserire la loro proposta all’intero del quadro musicale contemporaneo. Non perché Ron e Russell Mael non abbiano saputo svecchiarsi e arranchino nelle retrovie del revival: non sia mai. Anzi, di nuovo, voltolando come trottole impazzite, i due sembrano essersi ritrovati troppo avanti rispetto ai loro tempi. Che è esattamente quanto scrisse un giornalista americano nel 1970 dopo aver visto le loro prime performance sotto il nome di Halfnelsonahead of their time», titolò l’articolo), chiosando drasticamente con due parole: «total failure». Pessimo profeta è dire poco.

Dopo la trilogia di dischi ‘classical pop’ costruiti attorno all’applicazione di un’attitudine melodica e di una forma-canzone tipicamente popular agli arrangiamenti e alle cadenze della musica classica (“Lil’ Beethoven”, 2002, ormai riconosciuto come una pietra angolare della loro carriera e come uno di quegli album ‘genre-defying’ che non cadono spesso nella storia della musica; “Hello Young Lovers”, 2006; “Exotic Creatures Of The Deep”, 2008), gli Sparks hanno deciso di calare questo stile nel suo habitat ideale: il musical. Dietro una richiesta della radio nazionale svedese, Ron e Russell hanno costruito un’opera musicale su un ipotetico trasferimento a Hollywood di Ingmar Bergman. Lui. Il regista degli abissi dell’esistenza umana. Costretto da una delle band più spassose e demistificanti della storia ad affrontare i lustrini dello show business a stelle e strisce.

L’abbinamento, non c’è che dire, è stupefacente, se non fosse che gli Sparks masticano cinema da molto tempo (Ron lo studiò all’università negli anni sessanta), hanno già collaborato con Jacques Tati e Tsui Hark, hanno lavorato per anni, tra ‘80 e ‘90, a un film d’animazione (“Mai, The Psychic Girl”) a cui era stato accostato il nome di Tim Burton (senza che il lavoro abbia visto la luce), e hanno conosciuto la filmografia di Bergman in anni giovanili di eroici furori ed esplorazioni culturali di grande vivacità. Resta lo stridore tra la serietà compunta del cineasta scandinavo e l’istrionismo delirante dei fratelli Mael, ma il radio-musical ha la capacità di giocare volutamente sull’attrito, finendo per demolire le banalità dis-umanizzanti ed economiciste dell’immaginario hollywoodiano (sensibilità più che spazio fisico, dice lo stesso regista in “Bergman Ponders Escape”). Questo è l’intreccio: Bergman viene magicamente ‘teletrasportato’ ad Hollywood mentre sta guardando un film americano in Svezia, e ne resta intrappolato come in un incubo da espressionismo mitteleuropeo (tra i modelli c’è anche Lang – grande passione di Ron – e persino Kafka nello sbigottimento truce del protagonista). Direttori senza scrupoli cercano di dirottarlo allo stile hollywoodiano, attricette viziate si lamentano dei suoi modi rudi, lui sogna la fuga, e alla fine Greta Garbo, in un finale di vero prodigio, riesce a salvarlo e a ricondurlo nella sua dimensione.

Alienazione e disorientamento, dunque, si contrappongono alla fatuità piena di lustrini dell’Hollywood sparksiana (i due, ricordo, sono nati a Los Angeles), anche in termini musicali. Così i due leitmotive che dialogano a distanza per molte delle 24 tracce, scontrandosi in continuazione, esprimono in modo fin troppo didascalico le due opposte sensibilità: da una parte archi incupiti e drammatici fanno da sfondo agli a-solo (in svedese) di Bergman (“I Am Ingmar Bergman”, “I’ve Got To Contact Sweden”, “I Must Not Be Nasty”, “Bergman Ponders Escape”, “Almost A Hollywood Ending”), dall’altra spigliatezze cabarettistiche, ottoni impertinenti e un piano staccato tutto caricatura decorano gli spazi riservati alla prospettiva yankee (con Russell che impersona il direttore di uno studio hollywoodiano: “Limo Drive”, “On Route To The Beverly Hills Hotel”, “Here He Is Now”, “Hollywood Tour Bus”). Raramente i due umori opposti convivono nello stesso pezzo, e spiace, perché è da qui che escono i momenti migliori, tutti costruiti su stacchi destrutturati e tesi (“Escape Part 1”, “Escape Part 2”, “Oh My God”). Eccellente “The Studio Commissary”, sardana per trombone, legni e piano che si inscrive nella migliore tradizione teatrale sparksiana (da “Suburban Homeboy” alle cavalcate melò di "Propaganda" e agli swing di "Indiscreet" - vd. "Looks, Looks, Looks").

Molti momenti appaiono musicalmente vuoti e servono soltanto come raccordo narrativo. Ciò è evidente soprattutto nella parte centrale del lavoro, dove il polo melodico della scrittura appare troppo sacrificato (rischio eterno della forma musical). Il finale riscatta, però, i passaggi a vuoto: “We Have Got To Turn Him Around”, nel suo elegismo folkish tutto acustico, rimanda addirittura al classicismo di "Never Turn Your Back On Mother Earth" (ripresa quest’anno, tra parentesi, da Neko Case nel suo “Middle Cyclone”: interpretazione notevole), mentre incidono i synth taglienti di “Autograph Hounds” e “Escape Part 1” e il lirismo incrociato con l’opera-rock di “Why Do You Take That Tone With Me”, spinto dalle chitarre hard-rock di Dean Menta (come nella più scanzonata “Mr Bergman How Are You”). Il finale, affidato al falsetto di Russell (“He Is Home”), segna uno dei vertici camp degli Sparks, e rimane ascoltabile soltanto da chi i 21 dischi precedenti di questa band li mastica con nonchalance: il dialogo inglese-svedese su una base tremendamente kitsch da folk natalizio nordico è a dir poco imbarazzante.

The Seduction Of Ingmar Bergman” rimane, nel complesso, un quasi inevitabile suggello a una fase musicale degli Sparks (quella ‘classical/pop’, appunto) ormai prosciugata dei suoi spunti migliori. Il disco è pressoché inaccessibile per chi non conosce le puntate precedenti (suonerebbe assieme ridicolmente ambizioso e sconcertante per la sua schietta ‘inascoltabilità’: è in un certo senso avantgarde, questa, ma per eccesso di semplificazione), mentre l’orecchio avvezzo alla singolarità Sparks troverà, senza entusiasmi, qualche episodio da aggiungere ai momenti più riusciti dei tre dischi precedenti. Nel frattempo aspettiamo un’altra svolta. Sicuri che non sarà, dio benedica gli Sparks, al passo coi tempi.

 

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Sito ufficiale: www.allsparks.com

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"Escape Part 2"

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tramblogy alle 9:56 del 13 novembre 2009 ha scritto:

???.....che storia....

paolino57 alle 12:12 del 23 novembre 2009 ha scritto:

dove reperirlo?

recensione molto interessante e ben fatta, il cd mi interessa ma non so dove reperirlo, su Amazon lo dà in vendita dal 2010. Tu dove l'hai trovato?

Ti ringrazio.

target, autore, alle 12:31 del 23 novembre 2009 ha scritto:

Grazie! Il disco uscirà in cd a gennaio, sì. Per adesso lo trovi solo in doppio vinile (anche su amazon, dove l'ho preso io, a 25 sterline). Dalla settimana prossima lo si trova pure in un'edizione speciale con doppio vinile, doppio cd e libretti vari, ma a un prezzo folle (50 sterline). Se vuoi il cd e non vuoi spendere cifre folli, ti conviene aspettare gennaio...