R Recensione

7/10

Eugene S. Robinson & Philippe Petit

Last of the Dead Hot Lovers

Lui e lei. La storia si tramanda, si rincorre, si concretizza e scalcia da secoli e secoli. Qual è la regola dell’attrazione? È solo un processo chimico e biologico o intervengono fattori a noi ignoti? E perché a un certo punto quest’attrazione svanisce, sfuma, sviene nel candore dei giorni? Philippe Petit, il pazzo marsigliese dal sublime tocco elettronico, dà una visione teatrale del rapporto uomo-donna in questo disco tremendamente assurdo eppure così attuale, nell’era dei femminicidi e della violenza gratuita, della possessione e della pornografia. Assieme a Eugene S. Robinson e Kasia Meow, voci narranti, Petit immagina un lungo sentiero dialogico e metaforico tra due esseri – martire lei, eroe lui – nel quale suoni artificiali e sconcezze elettroniche segnano la via. Sbagliata, ovviamente. Due amanti stanchi, adirati, esangui, bensì talmente innamorati da creare un fitto scambio di scuse e accuse: un’apologia dei propri errori da rendere vano qualsiasi litigio.

Due soli pezzi, lunghissimi, in questo disco così magnetico: il primo, “Love (dinner done)”, eminentemente elettroacustico, con le linee vocali registrate allo Studio Jamor di Praga da Peklo, svela subito l’intricato intreccio tra lei e lui. Sullo squallido suono di Philippe, squallido perché ruvido, sporco, arrugginito, malaticcio, Eugene urla, grida, chiede comprensione ma Kasia non acconsente e tira in ballo la violenza, i fallimenti, la rabbia non più repressa, oramai. Il secondo atto, “Lost (going, going, gone)”, decisamente più accomodante, non risolve la faccenda ma almeno ne precononizza la fine. Il sound, seppur angoscioso ed elettronico, si fa più tenue, accomodante. 

Petit inserisce le solite infiltrazioni cinematografiche, quasi fossimo nella colonna sonora di un film horror, ma i commedianti (qui le voci sono state registrate da Manuel Liebeskind nello studio dell’Akademie der Künste di Berlino) stavolta cercano una base comune: lui la ama, non c’è alcun dubbio, ma le dice addio, preferisce morire. Lei invece è conscia del suo ruolo di carnefice e lo accetta senza batter ciglio, smette di rispondere ed anzi, con parole scarne ma pesanti, ghigna: «Than we did. But we did. Did. Doing. Will do. Without even the smallest attempt to deny it». Il mortale attentato ad ogni buona intenzione è stato compiuto.

Last of the dead hot lovers” è un disco bellissimo ma non può vivere di sola musica. La sua naturale attitudine lo porta in scena; ci vogliono degli attori in carne ed ossa, c’è bisogno di un pubblico silenzioso, ci vuole una regia. Questo è teatro, signori. Sta di fatto che l’attrazione non ha regole, e se pensate che ne abbia, provate a spiegarmele. Ma non venite a dirmi che credete nella vita dopo l’amore.

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