Trailer Trash Tracys
Ester
Si sarà trattato di perfezionismo, accidia, costante insoddisfazione di sé, desiderio di stupire. Ma il caso dei Trailer Trash Tracys è stato ben strano. Nellestate del 2009 bastò loro un 7 uscito per la No Pain in Pop (Candy Girl/You Wish You Were Red) per comparire su tutti i blog più importanti, farsi stracliccare su youtube e censire da Pitchfork, con la benedizione delletichetta best new music già addosso. Pop dark, Badalamenti, Twin Peaks, una voce celestiale, atmosfere lynchiane: le parole chiave per sfondare in area alternative. Ma loro, in tutta risposta, dopo qualche intervista a magazine inglesi che già preparavano lhype, scomparvero completamente. Nessun messaggio sui social network, cancellata dopo un anno la pagina Facebook, nessuna notizia sul fantomatico album in preparazione, tappe cancellate. Chi ha ucciso i Trailer Trash Tracys?
Per fortuna nessuno. Il loro album desordio esce per la Double Six a due anni e mezzo di distanza dal singolo, e ad ascoltarlo per bene ci si può fare unidea di cosa sia passato, nel frattempo, per la testa della band londinese. Volevano suonare, semplicemente, un pop che non aveva mai suonato nessuno. E in parte ci sono riusciti. Ester è un disco fatto di dissonanze e frastagliamenti, angoli bui e guizzi stravaganti, riverberi e basi incongrue: rimpalla tra spinte contrastanti in aree dreamy e lo-fi, spalleggiato da suoni alieni che rendono necessari molti ascolti per poterne avere un gusto riconoscibile.
Ed è un gusto che sa di avant-pop e pop decostruito, ritoccato per continua sottrazione fino a quando se ne scopre una pelle nuova. Dallintro sconclusionata di Rolling Kiss the Universe agli arpeggi paradisiaci di Dies in 55, continuamente boicottati dalla base ritmica fatta tutta di inciampi, sincopi plasticosi e astruserie, sembra di essere penetrati in una dimensione autre, da cui possono fuoriuscire strani aborti ma anche flash accecanti. Vedi Starlatine, su cui si staglia la voce inafferrabile della svedese Susanne Aztoria, attorno a cui impazziscono rifrazioni di beat, pulsazioni di basso e incursioni elettroniche che ricamano ghirigori visionari e caleidoscopi sonori incontrollabili. Difficile dare riferimenti: dei Cocteau Twins sperimentali, il gioco a nudo dei The xx e degli Young Marble Giants fatto girare come una trottola (Black Circle). Ma si sarà sempre lontani dal centro.
Perché il centro sono i Trailer Trash Tracys a sfocarlo, macchiando di arrangiamenti futuristici interpretazioni e melodie dal gusto rétro (Engelhardts Arizona, Strangling Good Guys), sabotando il sapore pesantemente gotico di certi chitarroni twang in direzioni vaporizzate e impalpabili (Turkish Heights, Los Angered). E così i vecchi pezzi del 2009, il cui retrogusto maledetto rimane difficile da scalfire, fanno un po parte a sé allintero del disco. Poco male. Tanto che sono due brani eccellenti, soprattutto Candy Girl, spazi vuoti, chitarra con cartavetro e rullante in iper-riverbero, per scoramenti provinciali da perdizione («7 oclock and my heartbeat stops, my candy girl»). Già in lizza per canzone del 2012. Pardon, del 2009.
Difficile dire se da Ester possa uscire qualcosa di più dei Trailer Trash Tracys. Non lo escluderei. Intanto è bene che siano usciti loro.
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