Baustelle
Amen
Amen, questo il titolo del nuovo album, arriva nei negozi in un momento delicato per la band in questione una premessa è dobbligo. I Baustelle giungono al loro quarto album dopo due folgoranti lavori per etichette indie: Sussidiario Illustrato Della Giovinezza (2000), gioiellino pop naive registrato con procedimenti caserecci (per taluni rimarrà addirittura ineguagliato), e La Moda Del Lento (2003), tavolozza con ampia gamma di colori pop, sorretto da un paio di singoli centrati e caratterizzato da una cura maniacale per gli arrangiamenti che varrà alla band lappellativo di Pulp nostrani, anche grazie allapproccio vocale molto simile in alcuni frangenti a quello di Jarvis Cocker.
Il terzo album, La Malavita (2005), segna lapprodo ad una etichetta major, la band di Montepulciano non delude le aspettative del colosso Warner, le vendite sono soddisfacenti, ma come accade spesso in questi casi, la critica più intransigente che aveva apprezzato senza riserve i loro precedenti lavori, nicchia davanti alle concessioni mainstream de La Malavita, pur riconoscendone un rispettabile standard qualitativo. Il lavoro del 2005 segna anche la dipartita di Fabrizio Massara, già impiegato a mezzo servizio nellalbum. Massara fu il manipolatore dei tappeti elettro che conferirono lustro sopratutto ai primi due lavori, nonché fantasioso arrangiatore e co-autore. Ad impaurire ancor di più gli appassionati della primora, la cessione di un brano firmato Baustelle ad Irene Grandi (Bruci La Città), singolo patinato e di discreto successo, curiosità e timore per il nuovo lavoro crescono all'unisono!
Il primo ascolto di Amen suscita due realtà oggettive lampanti: il maggior spazio concesso a Rachele Bastreghi (voce, piano, Fender Rhodes) sia davanti al microfono che in fase di composizione, ed il sound più rootsy e lo-fi che riporta ai tempi del Sussidiario (pur con risultati differenti): quelli di Amen sono dei Baustelle meno plastificati e più sudati, per quanto possa essere sudato un lavoro pop.
Francesco Bianconi, leader e mente creativa della band toscana, colma l'assenza del prezioso Massara caricando sulle proprie spalle tutto il peso degli arrangiamenti, stratificati ed intricati come non mai: si circonda di un Orchestra d'Archi di oltre venti elementi, più un plotone di strumentisti a fiato, e ne cura personalmente l'itinerario. Il singolo apriprista, Charlie Fa Surf, è traccia mediocre dalle strofe insapore, a stento arricchita nel chorus dai raddoppi vocali della Bastreghi e nella coda da una balsamica sezione fiati, un po' l'anello debole dell'album insieme a Panico!, fiacco omaggio a Lee Hazlewood. Altrove si apprezzano le peculiarità che hanno sempre contraddistinto la band, grande senso estetico, melodie curvilinee che si ficcano in testa solo in seconda battuta, lirismo pungente e di spessore (quasi ovunque).
Con Bianconi e Bastreghi a completare la line-up della band ora ridotta a trio è Claudio Brasini, alla sei corde sin dal primo album, co-autore in vari brani, tra i quali Colombo, frizzante pop mattutino che lascia trasparire echi di Franco Battiato. Mai come l'ottima Antropophagus, nelle strofe Battiato fino al midollo e nel chorus Bluvertigo a iosa, coppia di brani nella quale deve essersi trovato a proprio agio Sergio Carnevale, l'ex drummer dei Bluvertigo special guest alla batteria nelle quindici tracce di Amen.
La lista degli ospiti può fregiarsi della presenza del Maestro Alessandro Alessandroni, ultraottantenne compositore di colonne sonore, arrangiatore, direttore d'orchestra, che nel proprio curriculum vanta collaborazioni con nomi altisonanti (Morricone, Rota, Trovajoli), qui alle prese con un oscuro lavoro di fisarmonica, sitar, fischio (suo il fischio in Per un pugno di dollari di Sergio Leone). Da segnalare anche il contributo al piano dell'astro nascente Beatrice Antolini nelle due tracce fantasma inserite all'inizio del cd, tra cui Spaghetti Western, pop rock macchiato di soul, dall'incedere simile a Knock On Wood (vecchio singolo di successo di casa Stax per Eddie Floyd), neritudine che fa capolino anche nella meritevole Il Liberismo Ha I Giorni Contati.
Da qui agli highlights il passo è breve. Partendo da Baudelaire, sincopato uptempo che fonde archi da sigla telefilm in bianco e nero con percussioni caraibiche ed improvvisazioni elettro nella lunga fascinosa coda strumentale, a Dark Room, disingannata melodia con incursioni bossa/tropicalia, L cantata a due voci è tra le cose più ambiziose del loro catalogo, andamento sommesso nella migliore tradizione italiana, superlativo l'articolato arrangiamento d'archi a cui si aggiunge un corno francese di grande effetto, e poi ancora la Bastreghi con L'Aeroplano: mesta ed accorata melodia sorretta da un aristocratico accompagnamento di piano. Il valzer barocco per pianoforte e poco altro di Alfredo: appassionato omaggio ad Alfredino Rampi, il bimbo scivolato in un pozzo artesiano nel 1981, la cui atroce fine dopo numerosi tentativi di salvataggio fu ripresa in diretta tv per un proto-reality show dal macabro finale. Lo strumentale etno-noir Ethiopia, impreziosito dal vibrafono di Mulatu Astatke; commiato finale la soave, agrodolce, Andarsene Così. Toccante, intensa liturgia che pone Francesco Bianconi, concedeteci un minimo di retorica, sul piedistallo più alto dell'intelligencija popular nostrana.
Un album pienamente centrato, chissà quanto possa piacere agli incorruttibili fan degli esordi. I Baustelle stanno cambiando, d'altra parte ci avevano avvisati sin da subito che il futuro stava fuori dalla new wave da liceale.
Tweet