R Recensione

7/10

Eric Matthews

The Imagination Stage

Quando, nel 1994 il giovane Eric Matthews firmò, sotto la sigla Cardinal, la sua fugace alleanza con l'ex Mole Richard Davies, il concetto di pop barocco non era ancora tornato in auge: la riabilitazione pubblica di Burt Bucharach non era un fatto acquisito, la riscoperta dell'opera omnia di Scott Walker muoveva i primi passi e i Suoni Animali dei Beach Boys non erano ancora citati con periodicità giornaliera dalle cronache musicali.

Naturale quindi l'interesse suscitato debutto omonimo dello stesso anno, lo stesso che di lì a poco avrebbe toccato anche gli affreschi retrofuturisti degli High Llamas e le raffinate partiture degli Aluminum Group. Davies era autore ed interprete di quasi tutti i pezzi ma non c'erano dubbi. I Mole non avevano mai prodotti niente di simile: il vero artefice del suono lussureggiante di quel debutto a metà era Matthews, arrangiatore raffinitissimo cresciuto alla scuola del “pop nobile”.

Poi però arrivo la diaspora e, per Eric Matthews, una sfortunata carriera solistica su Sub Pop. Poi ancora, un lungo silenzio e infine questo The Imagination Stage: che esce nell'annus domini 2008, quando i percorsi di riscoperta del pop aulico sono già state battute in lungo e in largo e nuove forme di barocchismo, già figlie di un post e geneticamente modificate, come quello di Rufus Wainwright o quello, personalissimo e irresistibile, di Surfjan Stevens hanno aperto nuovi orizzonti a questi suoni.

Naturale che l'approccio di Matthews, a metà strada tra il decadentismo dandy anni '80 e le migliori pagine del pop '60s, tra Burt Bucharach e Prefab Sprout, tra Left banke e Beach Boys, solenne e posato, possa suonare datato. A tratti, diciamolo, stopposetto.

Eppure, se si presta attenzione alle ingegnose architetture sonore edificate dal buon Matthews e ci si prende il tempo per ascoltare, si scopre un disco dalle molte meraviglie: That Kiss of Life pare un apocrifo di lusso del miglior Momus, Little 18 ha la solennità di un gioco a quattro mani tra Prefab Sprout e Kings Of Convenience, Her Life che duetta a distanza con lo Scott Walker più liturgico. Per non parlare della paradisiaca Radio Boy e della solenne Don't Take Light, di una titletrack immediata e allo stesso tempo irresistibilmente aristocratica e della melodrammatica Fools, altra ballata à la Momus, con tanto di clavicembalo ben temperato in bella mostra.

Prese singolarmente, le composizioni di Matthews sono inappuntabili, melodicamente sorprendenti, divinamente arrangiate: il problema sta piuttosto in una certa pesantezza di fondo che tende a montare nella sequenza ininterrotta di tali pezzi. Un costante sfoggio di talento che si fa però, a lungo andare, un po' monocorde e indigesto.

Resta comunque una bella prova di classe, a distanza di 13 anni da quell' esordio fulminante: e chissà che, con un po' di fortuna, il nostro non riesca a conquistarsi un po' d'attenzione anche tra i bulimici e impazienti ascoltatori del nuovo millennio.

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Voto degli utenti: 6/10 in media su 2 voti.
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REBBY 5/10

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