R Recensione

6/10

Parenthetical Girls

Entanglements

Trombette, passi sussurrati, caramelle e fischietti. Corse sfrenate, campanelli, guasconate e quintalate di fondotinta. Sono solo alcune delle immagini che evoca Entanglements, terzo disco dei Parenthetical Girls dopo l’esordio (((GRRRLS))) (2004) e l’acclamato Safe as houses (2006).

Un manifesto di chamber-pop barocco iperarrangiato, su questo non c’è dubbio alcuno. Opera fiabesca, gioiosa e vivace in cui trova compimento la personalità ingombrante di Zac Pennington, sempre più “autore” per cui è lecito accostare nomi importanti del passato come Scott Walker, Philip Glass, Burt Bacharach e Van Dyke Parks. E nonostante tutto ben inserito anche nel presente, in bilico tra l’imperiosa androginia artistica di Antony & the Johnsons, lo spirito pop fine a sé stesso di Sondre Lerche e l’elegia raffinata di Jens Lekman.

Quasi un gioco da tavola questo mix di violini, violoncelli, xylofoni, dindinnii, orchestrati poderosamente con risultati teatralmente sentimentali (This regrettable end) o esuberanti (Four words) e guasconi (la vivace e bizzarra Gut symmetries). Eppure sempre freschi e immediati, anche quando è evidente l’apparato complesso dell’experimental pop (A song for Ellie Greenwich).

L’anima ingombrante di Jamie Stewart (Xiu Xiu), scopritore e “padrino” del gruppo, emerge nettamente solo nella desolazione di Abandoning, in controtendenza rispetto al clima leggiadro e sferzante di Entanglement e della marcetta clownesca di Unmentionables, colonna sonora ideale di un film di Charlie Chaplin. Perfino in Avenue of trees il delicato intimismo di partenza sembra rendersi conto di aver sbagliato tempi e luoghi e apre a inserti melodici fiabeschi.

L’eterogeneità di Entanglements apre poi a impressioni fugaci e variegate: il formato avant-pop di Young eucharists in cui a cantare non sembra più Pennington ma un Brian Molko innamorato accompagnato non dalle ruvide chitarre dei Placebo ma da inserti elettronici inseriti con la sapienza di un Patrick Wolf; la raffinata The former in cui spunta la tradizione canadese degli Arcade Fire; la lirica di Windmills of your mind che assume il formato di una ballata perduta di De André o di Cohen.

Impressioni, frammenti, bozzetti che mostrano una maestria artigianale davvero notevole, e che riescono a colpire oggettivamente anche il sottoscritto, che un genere come il pop barocco orchestrato e iperarrangiato non l’ha mai digerito particolarmente, né tantomeno ha mai amato Scott Walker, gli Xiu Xiu o Lekman. E questo dovrebbe spiegare il giudizio finale criticamente ottimo ma soggettivamente pessimo.

Non ci si lasci ingannare quindi dalla votazione sufficiente qui espressa. Capita di rado al sottoscritto di riuscire ad apprezzare la farsa, l’allegria androgina, la melodia classica fine a sé stessa inserita all’interno di un aere ampolloso e aristocratico. Se è vero che nobili si nasce e non si diventa il sottoscritto deve essere nato sottoproletario. Il consiglio quindi è di provare a lasciarsi cullare dalle tenere melodie di Entanglements. È probabile che avrete più fortuna del presente scribacchino.

 

V Voti

Voto degli utenti: 5/10 in media su 2 voti.
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loson 4/10

C Commenti

Ci sono 2 commenti. Partecipa anche tu alla discussione!
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loson (ha votato 4 questo disco) alle 23:41 del 15 dicembre 2008 ha scritto:

Sono anche più severo di te, Alessandro: uno zibaldone con pochissima sostanza, le cui pretenziosità non sono accompagnate da pari talento. Insomma: meno confusionario di "Safe As Houses" ma ugualmente insipido.

fabfabfab (ha votato 6 questo disco) alle 23:36 del 23 dicembre 2008 ha scritto:

Devo darti ragione. Un vero peccato, perchè secondo me hanno i numeri per fare ben altro. Mah ...