Patrick Wolf
The Magic Position
Percussioni tambureggianti minacciose, fieri violini dal petto gonfio a disegnare la melodia, cambi di tempo, rullante dal battito vigoroso, entra la voce rassicurante e decisa: è la Overture del nuovo album di Patrick Wolf, e tanto basta.
Nato a Londra ventitre anni fa, in età da latte studia violino e canto, successivamente si appassiona all'elettronica, studia composizione musicale per un anno, oggi suona qualsiasi strumento a corde dalla chitarra all'arpa, pianoforte e derivati, produce i suoi album e li arrangia: un ragazzo prodigio, insomma, anche se non vuole più sentirselo dire.
Dopo due album per la Tomlab, Lycanthropy (2003) e l'acclamato Wind In The Wires (2005), licenzia, per la Loog di James Oldham, il nuovissimo The Magic Position, un album con concessioni al pop più generose rispetto ai toni autunnali di ispirazione classica del predecessore, un uso più moderato della strumentazione acustica in favore di ritmi più sostenuti e un uso dell'elettronica lievemente accentuato.
Dopo la splendida Overture, è la volta della titletrack, riuscitissimo affresco immaginifico dove la musica è capace di far rivivere le atmosfere del luna park festoso su cui si staglia il nostro in copertina, proprio come Lennon e George Martin riuscirono a fare con il circo nella leggendaria Mr.Kite. E poi la volta del singolo apripista: Accident And Emergency, un uptempo synthetizzato dal feeling glam decadente e un lirismo intenso di inclinazione ascetica.
A seguire Bluebells, catchy-tune orecchiabile quanto basta senza rinunciare allo spessore stilistico cui il giovanotto ci ha abituati, tallonata dalla desolazione essenziale di Magpie, adatta ad ospitare la voce di Marianne Faithfull; la stupefacente Augustine, piano chitarra e poco più per una prestazione vocale intensa da far mangiare le unghie a Rufus Wainwright, quattro minuti abbondanti che riescono a toccare la parte più segreta dellanimo come solo gli Antony and the Johnsons meno stucchevoli sono riusciti a fare ultimamente. E poi Get Lost, che viaggia su accordi a la Boys Dont Cry dei Cure ma si infila dritta nel kaleidopop di Belle & Sebastian ed Architecture In Helsinki, ad avvicinarsi alla degna conclusione. Con due gemme. La pianistica Enchanted e lelettro nenia The Stars, entrambe affettuosamente affini a Marc Almond.
Sullo strumentale Finale scorrono i titoli di coda e la giostra si ferma in posizione magica: un gran bel lavoro, un uso della voce sempre ispirato ed attento a tutte le sfumature e colori possibili ed immaginabili. La speranza è che il soprannome licantropo porti fortuna al ragazzo prodigio: chissà che in un modo o nellaltro non riesca a seguire le orme del camaleonte biondino, che in fondo alla sua età era, anch'esso, semisconosciuto. Prematuro e fuorviante fare previsioni, ma certo un talento cosi va obbligatoriamente coccolato.
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