Sufjan Stevens
All Delighted People EP
Sì sì dai vabbè rispondiamo subito alla domanda: è un EP? Un disco nuovo? Una collaborazione? Una colonna sonora? Insomma, sulla copertina c’è scritto “Sufjan Stevens”, ma che roba è?
Allora diciamo pure che è un EP, che però dura un’ora, contiene otto pezzi ed è il preludio al nuovo album (che si intitolerà “The Age of Adz”) il quale – a quanto pare – avrà sonorità del tutto diverse e non conterrà neanche il singolo presente su questo EP. Chiaro, no? E cosa vi aspettavate da uno che aveva progettato di pubblicare cinquanta dischi dedicati a ciascuno degli Stati U.S.A., salvo poi perdere la bussola (ma mai l’ispirazione) tra EP (…) natalizi, rivisitazioni “creative” del proprio repertorio (“Run Rubbit Run” - 2009), sonorizzazioni di eventi (“The BQE” - 2009), collaborazioni (Welcome Wagon, The National, DM Stith) e partecipazioni a compilation (“You are the Blood” sulla compilation “Dark Was The Night”: e anche lì, Sufjan, ti chiedono di partecipare con una canzone e tu ti presenti con un suite di tredici minuti…)?
Ad ogni modo, in questi cinquantanove minuti c’è musica (quasi) nuova di Sufjan Stevens, e questo ci basta. E ci basta anche sentire le prime quattro note (su un totale impressionante) di “All Delighted People”, singolo-non singolo di questo EP-non EP, per capire che ci troviamo di fronte al solito, magnifico, prolisso, maestoso, folle Sufjan Stevens. Roba grossa, insomma, musica che non si sentiva dal 2005, dai solchi di “Illinoise”.
“All Delighted People (original)” è un pezzo che Sufjan Stevens suona dal vivo da più di un anno, spesso arrangiata in modi differenti, mentre qui diventa una suite maestosa, condotta in crescendo continuo per i primi cinque minuti tra chitarre, stacchi jazz, cori angelici e arrangiamenti orchestrali figli dell’esperienza “BQE”. I riferimenti sono robetta: i Beatles e – dichiaratamente – “The sound of silence” di Simon & Garfunkel. Ma sono le voci le vere protagoniste di questa prima sezione: cori angelici, si è detto, ma anche drammaticamente “Morriconiani”, ed una voce solista, quella di Stevens, mai così “avventurosa”. Dal sesto minuto il ritmo si assesta su sonorità folk (Joanna Newsom?), poche note di pianoforte prima (sembra quasi un frammento dei Nine Inch Nails periodo “The Fragile”(!)) e una chitarra acustica poi. La coda finale è affidata al classico andamento “chamber pop”, nel quale la melodia (un’altra?) viene cullata da fiati, archi a profusione, e le solite – irresistibili – voci.
“All Delighted People” è un pezzo tutto al plurale: voci, archi, fiati, chitarre, arrangiamenti e tutte le persone felici alzino le mani. Se dodici minuti di questa epica orgia d’amore (“I love you a lot/ I love you from the top of my heart”) vi sembrano troppi, poco più avanti ne troverete una versione più concisa (si fa per dire): “All Delighted People (classic rock version)” toglie gli archi e aggiunge chitarre e banjo, toglie gran parte dei cori e aggiunge quelle fanfare da banda municipale che ci hanno fatto innamorare di Sufjan Stevens e del suo fantasioso talento, semplifica il finale trasformando il tripudio di archi (che in realtà si suonavano un po’ addosso) della versione “original” in una scalcinata jam elettrica. Raise your hands!
Vi basta? No? Allora ci sono altre due perle: “Heirloom” è un pezzo acustico che probabilmente Stevens ha composto in cinque minuti, ma la sua melodia lineare si incrina in due momenti di Drakeiana malinconia che vi spezzeranno il fiato. Cercateli e, se siete felici, alzate le mani. Anche “The owl and the tanager” è già nota a chi ha avuto la fortuna di vedere Sufjan Stevens dal vivo (in passato si intitolava “Barn owl, night killer”) , ed è una delle sue solite ballate piano e voce, discendente diretta di pezzi come “Flint” (da “Greetings from Michigan” - 2003) o “The Seer’s tower” (da “Come on feel the Illinoise” – 2005). Scrivendo “solite” si è omesso di aggiungere “splendide”.
Se l’EP si chiudesse qui – quattro brani per mezz’ora di musica – il voto potrebbe anche essere dieci, e tutti felici con le mani rivolte verso il cielo. Alla faccia dell’EP. Ma il solito debordante Sufjan Stevens vuole lasciarci dell’altro, vuole arricchire questa pubblicazione così speciale (perché inattesa, perché non pubblicata in formato fisico…) quasi a voler rappresentare (mi sbaglierò?) la chiusura di un ciclo, il sigillo su un periodo di incontenibile e poliforme creatività. E allora: “Enchanting Ghost” è una bozza folk del tutto trascurabile, “Arnika” è un brano stanco nei fatti e nelle parole (“I’m tired of life”?), “From the mouth of Gabriel” utilizza i suoni di “Enjoy your rabbit” (2001) e farebbe bella figura nel prossimo EP natalizio (ma sia chiaro: gli EP natalizi di Sufjan Stevens sono tutti – tutti – strepitosi), mentre la conclusiva “Djohariah” (diciassette minuti…) stupisce per il delizioso e ipnotico tema vocale sul quale si staglia un lungo solo di chitarra, sostituito nel finale dalla solita geniale intuizione melodica a base di voci plurime e folk da mani levate verso il cielo. Qualcosa di simile ad una versione arricchita e dilatata della già nota “Sister” (da “Seven Swans” – 2004)
Soddisfatti? Adesso non resta che aspettare – con un pizzico di apprensione – “The Age of Adz”. Nel frattempo potete abbassare le mani, e continuare ad essere molto felici.
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