The Beach Boys
Pet Sounds
Un album stravagante
Se conosci solo tre accordi di pianoforte, non scegliere Rakhmaninov come tuo modello. Nel 1966 la maggior parte delle band pop facevano propria questa filosofia e lasciavano la musica seria alla gente seria, ovvero a chi aveva potuto godere di una completa educazione musicale e padroneggiava bene la teoria e la tecnica. Tentativi occasionali di rompere questo confine erano già stati fatti, ma fu Brian Wilson a buttarlo giù e preparare il terreno per il pop barocco, il rock sinfonico, Keith Emerson e gli ELO. Intenzionalmente? Spesso i capolavori vengono sfornati per caso, mentre cè unalta probabilità che se entri in uno studio con un atteggiamento smisuratamente ambizioso il risultato non sarà soddisfacente. Pet Sounds è una delle felici eccezioni alla regola. Brian Wilson voleva creare qualcosa di davvero straordinario ed era assolutamente sicuro che stavolta i risultati del suo lavoro sarebbero stati universalmente salutati come eterni.
La cosa che colpisce istantaneamente, dalla prima volta che si ascolta il disco, è la sua stravaganza. Non si era mai sentito qualcosa di simile, e forse non lo si è più sentito. Immaginate un aspirante architetto che non ha mai studiato bene architettura, a cui viene improvvisamente affidato il progetto di un nuovo edificio; e guidato solo dalla sua visione (in senso artistico ma anche letterale, cioè prendendo a tangibile esempio gli altri edifici), nonchè da una certa dose di genio innato, costruisce qualcosa. Una struttura che non avete mai visto, fatta di materiali che non avreste mai pensato potessero essere utilizzati insieme, che vi ricorda qualcosa che non siete in grado di indicare, e che è costantemente sul punto di collassare ma in qualche modo continua a rimanere in piedi. Quello è Pet Sounds.
Cioè, di cosa si trattava davvero? Musica pop? Di sicuro non quella che i Beach Boys hanno prodotto fino ad ora, quella commerciale. Se volete la prova che questo non è quel tipo d pop potete guardare alla reazione del pubblico americano dellepoca: il disco vendette molto meno di Party! e segnò il declino economico della band. Colpa di una scarsa promozione? Forse. Ma i Beach Boys erano la band più in voga nelle classifiche americane del 1965: di che promozione avevano bisogno?
Art-rock? Ammesso che abbiamo il diritto di paragonare il disco a un genere che contribuì a far nascere, piuttosto che a cui apparteneva, non è proprio il tipo di musica che ci si aspetterebbe da un album art-rock anni 60. Leco della musica californiana si sente ancora troppo. Per ogni brandello di Bach che si possa scorgere cè una bella fetta di Bacharach; lontano dallessere una critica, questo conferma la diversità del disco da tutto ciò che ci fosse in giro al momento.
E circa il suo target di riferimento? Ancora, forse, gli adolescenti idealisti e dalle guance rossicce che avevano mandato Barbara Ann in cima alle classifiche; i testi sono straordinariamente adatti a ragazzi che, ancora deboli, cominciano a sviluppare sottili strati di autocoscienza e autorivendicazione. Musicalmente, però, lalbum trascende quel livello, il che costituisce unaltra stravaganza, dato che successivamente la situazione si è capovolta, dando spesso luogo a un art-rock con testi pieni di allusioni e metafore incomprensibili e un piano musicale che ti fa domandare se non sarebbe stato meglio che lartista in questione avesse prodotto un libro di poesia invece che un disco.
Il contenuto
A rimarcare la stravaganza del disco però non si va molto lontano, quindi spostiamoci sulleffettivo contenuto. La maggior parte delle canzoni farebbero parte della categoria ballata, specialmente se ascoltate separatamente, ma nel complesso il disco non ha il tipico tocco da ballata e non perché le canzoni siano sostenute piuttosto che pastose, o perché anche quelle più pastose si trasformino inaspettatamente in feste di suoni convulsi; ma perché Pet Sounds è, dopotutto, una teenage symphony, e nessuno ha mai chiamato ballata una musica sinfonica, qualunque sia la chiave in cui è suonata. E poi scrivere un album di ballate era certamente quanto di più lontano dalle intenzioni di Brian Wilson. Wouldn't It Be Nice, ad esempio, comincia con un bellintro di arpa, diventa un tormentone pop e sfocia velocemente in una direzione completamente diversa soffice, senza batteria, e completamente dominata dai cori. Non sarà magari la prima volta che la band sperimenta diverse sezioni in un singolo brano, ma di quegli esperimenti questo brano (e lintero album) è la versione definitiva. La notizia migliore è che in mezzo alla sperimentazione Brian riesce a non dimenticarsi delle caratteristiche principali della sua musica, i cori e gli arrangiamenti, e porta entrambi ad un livello tutto nuovo. Già dalla seconda traccia, You Still Believe In Me, tutti gli assi sono messi sul tavolo: il gioco vocale si avvale di tutti i possibili contrasti tra bassi registri, alti registri, le loro combinazioni. In Don't Talk (Put Your Head On My Shoulder) la chimica sonora tra quel pianoforte che sembra provenire dal tuo subconscio, quel basso pulsante, e quelle voci dal potere lenitivo, diventa qualcosa di molto simile a una droga (provate ad ascoltare con le cuffie).
Per quanto riguarda laspetto tecnico dellalbum, moltissimo è stato detto circa tutti i tocchi innovativi che introduce (una batteria sostituita con delle bottiglie etc.), ma visto che più di questo mi interessa laspetto melodico, preferisco limitarmi ad attirare la vostra attenzione sulla parte strumentale di Here Today. Ci sono tre melodie diverse che si sostituiscono luna allaltra, e se i Beach Boys non sono stati i primi a farlo su un disco pop allora non so proprio chi è stato.
Conclusione
Alla fine Pet Sounds è certamente meno grandioso di quanto sperasse Brian Wilson, tanto che lui stesso non fu pienamente soddisfatto del risultato finale, o altrimenti non si sarebbe gettato nello sfortunato progetto di Smile. Non mi piace mai leggere una rassegna dettagliata di un album track-by-track, e odio scriverne una io stesso, ma se dovessi farlo troveremmo certamente qualche pezzo di calibro minore (alcuni dei brani che cominciano con il pronome di prima persona singolare, ad esempio). Eppure questo è un album veramente, indiscutibilmente grande, e suona un po come la visione personale di Brian Wilson di cosa debba essere il paradiso.
Un posto in cui Dio indossa con tutta probabilità pantaloni corti e sogna sentimentali sogni bagnati.
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