Gerard Way
Hesitant Alien
Il rock sta morendo, la musica per chitarre non tira più, lasciala perdere.
E stato grossomodo questo che si è sentito dire Gerard Way, eccentrico ex frontman dei My Chemical Romance, dalla propria casa discografica, quando si accingeva a proporre questo suo ultimo lavoro, un disco di brit pop deflagrato da tonnellate di fuzz. Sì, esatto, il prosecutore delle gesta di Albarn, Anderson, Cocker &co. sembra essere proprio il folletto yankee che, con la sopra menzionata band, ha fatto breccia nel cuore di milioni di ragazzi e ragazze, quasi esclusivamente teenager, in tutto il globo, creando uno dei fenomeni generazionali più massivi degli anni 00. Ora, tanto per mettere in chiaro le cose, di sicuro con quel progetto, fatto di emo, punk e pop frullati in canzoni ora nevrasteniche, ora epiche, non ha fatto breccia nel mio, di cuore, ma i risultati ottenuti in questo Hesitant Alien sono a dir poco stupefacenti ed inaspettati. Sebbene già nellultimo disco dei MCR, Danger Days: The True Life Of The Fabolous Killijois, ci fosse un tentativo, qua e là discretamente riuscito a dire il vero, di rifarsi ad un certo periodo storico, permaneva tuttavia una patina produttiva e compositiva pop-rock da hit parade, che qui viene del tutto superata.
Giunto ad un punto di non ritorno nella propria vita, totalmente incapace di gestire le pressioni che si riversano su chi deve tenere le redini di una band multimilionaria e sprofondato perciò in una crisi alcolico-depressiva, Way ha fatto semplicemente quello che voleva. Ha affermato, tramite questo disco che, la musica per chitarre non è morta. O, meglio, forse è vero che sta morendo, ormai le proposte che vanno la maggiore sono completamente imbevute di laptop e sintetizzatori, ma ciò che dallascolto di questi 11 pezzi si coglie è che ancora non si è trovato niente che sia capace di prenderti a pugni in faccia nella stessa maniera in cui lo fa lo stridore tipico della sei corde, che in questalbum viene trattata e filtrata tramite mille tipi differenti di fuzz, overdrive, riverberi ed altre impossibili manipolazioni da studio. Occhio infatti a non considerare Hesitant Alien come un disco conservatore: esso è piuttosto laffermazione estrema del concetto di base espresso poche righe sopra; la distorsione e le dissonanze si mangiano ogni suono e in alcuni pezzi si crea un frastuono totalizzante che investe anche la produzione di batteria e voce (questultima, come vedremo, in certi casi davvero irriconoscibile in quanto tale).
Paradigmatico è stato dunque il primo singolo dellalbum, la magnifica No Shows, indubbio apice dellalbum e, probabilmente, anche della carriera di Way. Canzone dal piglio glam rock, praticamente dei T Rex sperduti nei pressi di qualche cantiere industriale suburbano, è ununica, monolitica, mitragliata di fuzz scaricata in petto allascoltatore senza troppo ritegno. Semplicissima nella struttura e negli accordi, sostenuta da unossessivo e primordiale andamento ritmico, nonostante gli arditi esperimenti sonori (non avessi visto il videoclip non sarei mai arrivato a capire che al minuto 3:16 partono degli la la la, talmente è saturata la voce), non rinuncia allafflato melodico, anzi, si tratta di un inno accorato, lacerante e fortemente emozionale, proprio come la Common People da cui probabilmente prende la maggiore ispirazione. Un piccolo capolavoro.
Se No Shows è, come detto, lo zenit di Hesitant Alien, il resto delle tracce non è affatto da meno, tanto in termini di ispirazione compostiva, quanto di varietà stilistica e di ricerca sonora. Solo due gli episodi un po sbiaditi, ovvero la punkeggiante Action Cat, contentino per i fan di vecchia data, non a caso altra traccia utilizzata per fini promozionali, episodio pertanto abbastanza anomalo nella scaletta e la scialba How Its Going To Be, che vorrebbe essere un brillante uptempo melodico, ma scivola in un costrutto abbastanza prevedibile (eccezion fatta per il bell' arrangiamento di fiati nel finale). Per il resto, è tutto rose e fiori: dalliniziale The Bureau, apertura tanto lasciva quanto dimpatto, nelle sue divagazioni pregne di flanger, allarrembante tripudio di chitarre, cori angelici e melodie british della tirata traccia conclusiva, Maya The Psychic, non c'è una canzone non riuscita in questa scaletta. Scaletta che risulta di grande efficacia nell'alternare una prima parte fatta di canzoni più orecchiabili, in cui spicca, oltre alla già citata No Shows, una Millions che forse più di tutte le altre dimostra la brillantezza e la facilità di scrittura di un autore pienamente consapevole di sè e a suo agio nelle sue nuove vesti (vi sfido a togliervi dalla testa i riff di chitarra e i ritornelli falsettati, tanto immediati da sembrare quasi banali, ad uno che non abbia mai provato a comporne uno, s'intende) ad una seconda metà comprendente momenti più duri o densi di pathos. Alla prima categoria si possono ascrivere le sassate quasi industrial della distopica Zero Zero, carro armato sostenuto da una batteria, nuovamente satura di distorsioni, che è pura dinamite, e le bordate in bilico fra noise e tensione post punk, della vagamente Manicstreetpreacheriana Juarez. Nella seconda, invece, ci va dritto il secondo momento topico dell'album, ovvero la ballad intrisa di straziante melanconia e di impressioniste chitarre shoegaze, Drugstore Perfume, davvero una canzone d'altri tempi, visto che in pochissimi al giorno d'oggi sembrano in grado di scrivere con tale grazia estasiata; miglior dedica alla propria compagna e al sentimento che li lega il nostro Gerard non poteva realizzarla.
Infine, un posto tutto suo si merita Get The Gang Together, praticamente un tributo ai Mansun, tanto è palese l'ispirazione della band di Draper. Ma non stiamo qui a farci le menate su plagi, controplagi, retromania, ecc.: il pezzo è bellissimo e poi si copiano i Mansun, mica i Queen, eh...
Se proprio il rock deve morire, dunque, e, ahimè, di morte lenta, che almeno lo faccia con dischi come questo; che ci ricordi, insomma, di essere qualcosa di fondamentalmente insostituibile. Noi, intanto, nel nostro piccolo, speriamo che le dinamiche di mercato non uccidano- artisticamente- il rosso quasi quarantenne Gerard Way del New Jersey: sarebbe un vero peccato, è più in forma che mai.
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