V Video

R Recensione

10/10

Mansun

Six

Come dare seguito a uno dei dischi simbolo di un'epoca? "Attack of the Grey Lantern" aveva raggiunto il numero 1 della classifica britannica e generato grande eccitazione fra gli addetti ai lavori (Thom Yorke stesso dichiarò quanto quel disco rappresentasse un passo avanti per il pop britannico). I Mansun reagirono nella maniera più naturale possibile per una band brit-pop: suicidandosi.

Non c'era davvero altra soluzione. Tutti i più grandi prima di loro si erano suicidati: i Suede diedero seguito all'album omonimo con l'overdose depressiva di "Dog Man Star", i Pulp a "Different Class" con il noir perverso di "This Is Hardcore", e su cosa successe ai Manic Street Preachers dopo "Gold Against the Soul" si sono scritti fiumi d'inchiostro. C'era qualcosa nella musica britannica dell'epoca che rendeva le band totalmente incapaci di gestire il successo, a meno di non essere un gran figlio di Gallagher. C'era poi chi riusciva a risorgere dalle proprie ceneri (i Suede di "Coming Up", i Manics di "Everything Must Go"), chi peggiorava ulteriormente la situazione (i Pulp del mai troppo lodato "We Love Life"), chi rinnegava un disco da tre milioni di copie solo per via delle cattiverie della stampa (i Blur e l'ingiustamente bistrattato "The Great Escape"), chi si scioglieva (i Verve) e chi perdeva il controllo sulla propria produzione, come successe ai Mansun. "Six" ne fu la causa: nonostante il singolo di lancio, "Legacy", si fosse piazzato al numero 7 in GB (massimo risultato per la band), il disco rimase in classifica solo tre settimane, vendendo a stento 100mila copie. Un cifra dignitosa, addirittura impressionante se si considera il contenuto, ma insoddisfacente per la Parlophone, che molto aveva investito per band e produzione, e un ben maggior ritorno avrebbe preteso. L'album successivo sarebbe così stato affidato a produttori esterni, portando il malcontento nella band e tutta una serie di beghe personali poi degenerate nello scioglimento.

Per i Mansun niente resurrezione dunque: "Six" li accoppò senza appello. Come tutti i suicidi di cui sopra, fu una cosa in grande stile, a partire dalla copertina, una roba folle commissionata all'illustratore Max Schindler, su cui ancora oggi i nerd appassionati della band si divertono a speculare (di certo serve una bella fantasia per riuscire a collegare "Doctor Who", "The Prisoner" e Winnie the Pooh). 

Con "Six" Paul Draper volle far sapere al mondo quanto fosse arrabbiato. Prima di tutto con se stesso: i testi sono invettive contro quasi tutto ciò che non va nella vita, ma che prima di essere scagliate contro il mondo colpiscono il protagonista. Sopra accennavamo ai Manics di "The Holy Bible", disco fra i più furiosi dell'universo: "Six" è da quelle parti, ma ne è il cugino sfigato e autoflagellante. Qui lo sfacelo si è presumibilmente già compiuto, quel che rimane è un piangere sul latte versato, una serie di lamenti che potranno far storcere il naso a più di una persona matura. Dunque ascoltiate il disco solo se - e ve lo auguro di cuore - vi ritenete ancora immaturi, perché si tratta in soldoni di una litania/sofferto elogio/atto d'accusa verso l'adolescenza cronica. Musica per la fine dei sognatori. Sognatori non nello stucchevole senso lennoniano: nel senso bensì di autistici esserini che non riescono a accettare la durezza circostante ("life, it's a compromise anyway, and it's a sham, and I'll accept it all") e si riparano nella fantasia (allora l'artwork non appare più tanto casuale).

Lungo oltre settanta minuti, zeppo di idee quante basterebbero a tirarne fuori un paio di dozzine di album normali e prodotto dallo stesso Draper con grande libertà, in un mondo perfetto "Six" sarebbe più famoso e influente di "Ok Computer". Ma il mondo fa schifo, per l'appunto.

"Six" è sostanzialmente un disco di brit-pop progressivo, un po' come il coevo "Radiator" dei Super Furry Animals, ma ancora più progressivo. A parte due o tre eccezioni, i suoi brani sono o aborti di canzoni che terminano prima di poter avere una forma solida, o suite logorroiche che appiccicano tre, quattro, cinque melodie, talvolta accavallandole. Si dice che la forma del disco non fosse premeditata, ma che sia stata frutto di una sorta di blocco creativo di Draper: non riuscendo a scrivere canzoni che lo convincessero, si ritrovò con tanti frammenti che poi la band, jammando e andando per tentativi, trovò maniera di amalgamare.

Si tratta di album molto diverso rispetto a "Attack of the Grey Lantern", dove le canzoni erano tutte ben definite. Anche gli arrangiamenti variano molto: qui le chitarre hanno un suono più graffiante (qualcuno direbbe raw), non c'è quasi più traccia di ritmi elettronici, cui viene preferita una batteria live e orgogliosa di esserlo (per non dire che fa un gran casino). Non c'è più neanche l'orchestra, sostituita da un tripudio di effetti: ogni suono è manipolato, nello stesso pezzo la voce può venire spezzettata dal pitch shift e cambiare filtro enne volte, come anche la batteria, non parliamo delle chitarre che generano tanti di quei suoni che si potrebbe scriverci un manuale a parte (saturazioni, oscillazioni, sibili, eco, volendo più d'uno in contemporanea, se non tutti insieme). Ogni tanto a anche qualche tastiera analogica si aggiunge alla tavolozza. Se vi fosse venuto il dubbio, lo si chiarisca: non è esattamente un disco morigerato, e non è un disco per chi solitamente preferisce il basso profilo.

Direi che si è detto tutto più o meno, volete pure la descrizione brano per brano? E va bene, ma solo i passi salienti, che altrimenti viene la "Gerusalemme liberata" (paragone comunque appropriato, visto che Draper in "Cancer" dichiara "I'm emotionally raped by Jesus now, but I'm still here, yes, somehow I'm still here"). "Negative" e "Legacy" sono le sole due canzoni compiute dell'opera, non a caso scelte entrambe come singoli. "Legacy" è uno dei pezzi più belli del creato (perché nelle recensioni bisogna essere severi, severissimi, ma anche no). Planando su un jangle memorabile, il socio creativo di Draper, Dominic Chad, tira fuori quella sorta di chitarra gabbiano, acutissima e melodica, uno dei suoni più riconoscibili degli anni Novanta, vero marchio di fabbrica Mansun insieme alla voce del leader. Pur avendo una melodia ben riconoscibile e ciclica, non è comunque una canzone qualsiasi: solo il ritornello si prende oltre un minuto, essendo composto da più sezioni in una sorta di ciclopico accumulo emotivo, che poi sfoga e ridiscende mentre il muro vocale lamenta "I feel so drained, my legacy, a sea of faces just like me"

A corredo di "Negative", più canonica ma cupissima, va segnalato il video del Maestro Jamie Thraves (google o wiki per vedere l'elenco delle sue opere, non siate pigri). Con una stanza, tre persone, una macchina da presa e una fotografia al bacio, Thraves mette in piedi un noir di quattro minuti da annoverare fra i momenti più belli dell'epoca d'oro di MTV (che in vero avrebbe potuto mandarlo in onda un po' più di quanto fece). 

Gli altri due singoli furono "Being a Girl" e "Six": la prima su album è una mutagena cavalcata space-rock di otto minuti, venne editata e pubblicata in versione radiofonica come "Being a Girl (Part One)"; la title-track venne ri-registata in una versione ammansita prodotta da Arthur Baker. Molti fan della band furono critici verso la bakerizzazione, non chi scrive invece, trovandone eccelso il risalto dato agli arrangiamenti vocali. Certo nell'album è tutt'altra cosa: otto minuti di convulsioni melodiche e cambi a rotta di collo. Inizia come il più canonico dei brit-pop, si ritrova a un passo dall'hard-rock, arriva alla stasi dreamy con voci lontanissime e chitarre sibilanti, poi di nuovo una batteria sconquassante e distorsioni di carta vetrata. Il brano termina con un crescendo in cui Draper, dopo aver assunto che la vita sia una ingannevole serie di compromessi, si dispera "More than I had before, More than I've presently got, More than I'll ever use up, More than I really need, More than I had before, More than I could possibly spend, More than I'll ever use up, More than I really need, It's more than I can spare, My religion is caged". Vi sentite come sulle montagne russe dopo aver mangiato pesante? Posso capirvi, ma ripeto ancora una volta: è un disco prog, dei più schizofrenici. Addentratevici a vostro rischio e pericolo. Perché questo è: un lunghissimo rischio, e come tutti i rischi richiede coraggio per essere intrapreso. 

Da "Inverse Midas" a "Serotonin" sono quattro brani brevi che formano una sorta di suite: intro pianistica e poi scatti chitarristici, basso galoppante, giochini di feedback, cori a valanga e in "Fallout" persino un carillon che riprende Tchaikovsky. "Special Blown It" ha un'intro per pulsazione post-punk e pianoforte, poi si distorce e sembra che parta un'altra canzone. Entrambe le sezioni vengono in seguito ripetute, come se due brani totalmente diversi si incrociassero a intervalli regolari.

"Television" e "Cancer", otto e nove minuti rispettivamente, sono altre due jam pirotecniche, la prima affogata in effetti sonori vibranti e voci acutissime, la seconda una tenera (coff coff...) dedica al cristianesimo e al concetto di religione in generale. Dopo averne combinate di tutti i colori, termina in una moviola di tastiere eteree, pianoforte e carezze di chitarra. Un paesaggio cullante che è una sorta di anestesia, visto che in realtà l'invettiva di Draper si fa sempre più crudele: "What now of my faith, It's a desperate exercise to limit pain, No guilt, Hold your people in disdain and steal their grace, Keep turning my cheek, I'm emotional and sensitive and weak, Uninformed, You have harboured those who nurtured Europe's War". Non è neanche un inno all'ateismo, perché trasuda tutto sommato sofferenza, è più il contrasto interiore di è stato cresciuto con un certo tipo di educazione e ora è portato dalla ragione a ribellarsene. 

Seriamente: Paul, Chad, amici cari, come potevate pretendere di passarla liscia dopo aver pubblicato un album del genere?

V Voti

Voto degli utenti: 9/10 in media su 15 voti.
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target 10/10
Lepo 8,5/10
B-B-B 9/10

C Commenti

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FeR, autore, alle 14:34 del 20 marzo 2013 ha scritto:

ma come, prima tutti a chiederla e poi non commenta nessuno? ;D

Utente non più registrato alle 14:44 del 20 marzo 2013 ha scritto:

Grandissimo disco dove l'influenza PROGRESSIVE è molto presente. Notevoli

Utente non più registrato alle 21:44 del 20 marzo 2013 ha scritto:

All'epoca lo acquistai ad occhi bendati...I Mansun dimostravano una notevole padronanza strumentale, cosa inusuale per la maggioranza dei gruppi brit-pop, unita ad una solida caratura compositiva. I brani erano costruiti in modo anomalo ed originale, con continui ed inaspettati cambi ritmici, di qui l'ispirazione al miglior rock sinfonico.

FeR, autore, alle 22:25 del 20 marzo 2013 ha scritto:

i gruppi brit-pop maggiori erano densi di grandi musicisti a dire il vero, forse ti confondi col grunge ;D

nebraska82 (ha votato 8,5 questo disco) alle 14:50 del 20 marzo 2013 ha scritto:

Sì, gran bel disco, potente, variegato, onirico. Una delle produzioni più imponenti dei tardi 90s assieme ai vari Mellon Collie, Ok Computer, This is hardcore. Probabilmente l'assenza di un singolone apripista come "Stripper Vicar" gli ha un po' tagliato le ali, peccato. Ottima la recensione.

Sor90 (ha votato 9,5 questo disco) alle 20:58 del 20 marzo 2013 ha scritto:

Questo disco ha tardato a farsi apprezzare. Necessità di più ascolti, non tanto per la complessità intrinseca della composizione, quanto per la decostruzione della classica pop-song che ti viene praticamente sbattuta in faccia continuamente. E per chi aveva apprezzato The Attack of the Grey Lantern, dove le canzoni erano sontuose creazioni dalle melodie ricercate e arrangiamenti eleganti, questo è difficile da accettare. Per un anno l'ho snobbato, poi improvvisamente, Inverse Midas mi torna in mente, riascolto il disco ed ecco la rivelazione. Un capolavoro. Non saprei da dove cominciare per descriverlo, complimenti per aver avuto il coraggio (non sarà un gigante come importanza, ma è sicuramente una creatura difficile da afferrare, mi riferisco allo scriverne una recensione). Trovo solo un unico neo all'album: "Whitness to a murder", si fa skippare sempre.

loson (ha votato 9 questo disco) alle 21:07 del 20 marzo 2013 ha scritto:

Disco, recensione, tutto meraviglioso. Doveroso l'aver menzionato il video di "Negative", vero e proprio gioiellino di un regista che già aveva dato sfogo alla sua vena brit-surrealista con "Just" dei Radiohead e "Charmless Man" dei Blur.

nebraska82 (ha votato 8,5 questo disco) alle 22:29 del 20 marzo 2013 ha scritto:

regista anche di "the scientist" dei coldplay tra l'altro.

target (ha votato 10 questo disco) alle 15:18 del 23 marzo 2013 ha scritto:

Uno dei dischi che più mi hanno irritato al primo ascolto. Uno dei miei dischi preferiti di sempre. Me lo feci regalare per i 18 anni. Lo aspettavo con ansia. "Legacy", quell'estate, mi aveva fatto sperare per il meglio. "Being a girl", nella versione editata, era una scheggia esaltante. E poi, ecco, ti ritrovi tra le mani un ammasso di suoni schizoidi, due mezzi ritornelli storpiati in 70 minuti e ti viene voglia di buttare tutto via (ma a caval donato...). E allora ci riprovi. Affronti il grattacapo. Provi a orientarti nel labirinto. Un disco combinatorio. Entri e dopo due minuti perdi già la direzione, vai avanti ma poi ti accorgi di essere tornato indietro, ritrovi il riff di "Legacy" alla fine di "Fall Out", ti fai prendere dalle vertigini tra pezzi di nove minuti e inserti lirici, micro-ballate di piano e simboli sparpagliati ovunque, pezzi che ripartono cinque volte e in cinque modi diversi nel giro di un minuto e mezzo ("Shotgun") e brani killer incastonati qua e là (menzione per "Special/Blown it"). Un disco-caos che però appare architettato nel minimo dettaglio. E, insomma, uno dei lasciti più duraturi di quegli anni brit. Una legacy, però, forse, impossibile da ereditare davvero. E infatti i Mansun stessi ne sono rimasti annichiliti. "Little Kix" fu semplicemente brutto (con giusto un paio di eccezioni, tra cui la splendida "I Can Only Disappoint U"). "Kleptomania" non fu mai, e quando uscì, come aborto, fece capire che la risalita era difficile. E ora, nulla. Nobody cares when you're gone. Bravo Federico.

Lepo (ha votato 8,5 questo disco) alle 20:53 del 8 settembre 2013 ha scritto:

Discone. Se la parola progressive avesse ancora un senso, è così che dovrebbe suonare ai giorni nostri. "Legacy", "Six" e "Cancer" sono brani che valgono una carriera.

ThirdEye (ha votato 8 questo disco) alle 20:25 del 6 dicembre 2014 ha scritto:

Gran disco. Questa era una grande band. Peccato siano praticamente svaniti nel nulla (assieme ad altrettante valide band) al cambio di millennio...