V Video

R Recensione

7/10

Oasis

Don't believe the truth

Come ogni lavoro degli Oasis che si rispetti, "Don’t Believe the Truth" è preceduto dagli epici ed ormai tristemente noti dissidi tra i fratelli Gallagher: scelta del produttore, sonorità, brani da includere o meno. “Non riusciamo a trovarci d’accordo neanche sul fatto di non andare d'accordo” dichiarò Noel in una nota intervista, e pare che questa attitudine, estremizzata fino al ricorso alle risse, abbia fatto degenerare i rapporti tra i fratelli di Manchester, fino a sancire l’ufficiale scioglimento, solennizzato nell’agosto del 2009, quando Noel dichiarò che avere suo fratello tra i piedi, ormai era cosa insostenibile.

Il chitarrista-cantante Noel Gallagher durante la registrazione dell’album decide di licenziare lo storico batterista del gruppo, Alan White, nonché suo carissimo amico, accusato di dedicare poco tempo alla causa degli Oasis. Il suo posto verrà preso addirittura da Zak Starkey, figlio del leggendario batterista dei Beatles, Ringo Starr, ex della superband Johnny Marr and the Hearles, che attualmente milita negli Who. Un curriculum di tutto rispetto, quindi, quello del nuovo drummer del gruppo di Manchester, il cui nome e curriculum vitae non avranno di certo lasciato indifferente Gallagher al momento della scelta, dato che i Fab Four e gli Smiths sono, assieme agli Stone Roses, gli artisti preferiti dei rissosi fratelli britannici.

L’album viene rilasciato il 30 maggio del 2005, e scorrendo lungo la tracklist, i fans del gruppo si imbatterono in un piccolo giallo: Don’t Believe the Truth non conteneva "Stop the Clocks", brano che diede il titolo al greatest hits pubblicato un anno dopo, e cantata abitualmente nel tuor di Heathen Chemistry. Noel giustificò la faccenda dichiarando che “l’intero album era tipo basato su quella canzone. Era tipo una lunga storia simile a quella di Champagne Supernova: testo fantastico e grande atmosfera, ma sentivo che non riuscivamo mai a crearne la versione corretta. Ne abbiamo 6 o 7 versioni e per me nessuna di queste calzava alla perfezione. Ma sta lì, per ora è messa da parte. Originariamente l'album si sarebbe dovuto chiamare Stop the Clocks, che sarebbe stato un grande titolo, ma siccome queste canzoni erano così nuove, quella canzone iniziò a sembrare vecchia, perché fu scritta nel 2001”.

Con o senza "Stop the Clocks", Don’t Believe the Truth ha il difficile compito di mantenere i livelli qualitativi del precedente "Heathen Chemistry": uno straordinario successo di vendite e di critiche. L’album è aperto da "Turn Up the Sun", scritto dal bassista Andy Bell, uno dei rari pezzi della storia degli Oasis non firmati da uno dei due fratelli Gallagher. Si tratta di una splendida ballata rock che possiede il tipico marchio di fabbrica britpop. L’introduzione è lunghissima quanto affascinante e la tipica voce roca di Liam ben si sposa con gli accordi taglienti che supportano il brano dall’inizio alla fine. "Mucky Fingers" ha un sapore tipicamente anni Sessanta, con una base ritmica che ricorda vagamente "I’m Waiting for the Man" dei Velvet Underground, con un’armonica dylaniana inserita a metà brano.

Ovviamente un album degli Oasis che si rispetti non può prescindere dal singolo di enorme impatto trasmesso forsennatamente da Mtv. Questo ruolo spetta a "Lyla", definita da Noel "la cosa più pop da Roll with it”. Il pezzo ovviamente fu inserito nella scaletta del meraviglioso concerto che la band tenne nel 2005 nel City of Manchester Stadium, lo stadio della squadra di calcio di cui i fratelli Gallagher sono tifosi sfegatati, il Manchester City, storica nemica del più titolato Manchester United. Liam Gallagher si riscopre songwriter con "Love Like a Bomb", un pezzo pop in perfetto stile british da classifica che forse tocca uno dei punti più bassi dell’album. A risollevare le sorti dell’ album ci pensa "The Importance of Being Idle", altro singolo estratto dalla sesta fatica in studio degli Oasis. La canzone è supportata da uno splendido videoclip di Dawn Shadforth: un macabro quanto farsesco corteo funebre in stile musical. La canzone è cantata da Noel, che dà prova delle sue abilità canore, oltre che chitarristiche, esibendosi in un cantato piuttosto alto per i suoi canoni e in un interessante assolo di chitarra a metà brano, eseguito con la sua fedele Gibson ES335.

La parte centrale del disco è dominate da due brani scritti da Liam: "The Meaning of Soul" e "Guess God Thinks I'm Abel". La prima è un acoustic rock di un minuto e mezzo francamente da dimenticare, mentre la seconda, col suo giro di accordi beatlesiano cattura l’attenzione dell’ascoltatore, anche se di certo non entrerà a far parte dei brani più convincenti della non immensa discografia della band di Manchester, mentre il testo mette in evidenza i rapporti non proprio idilliaci col fratello. "Part of the Queue",un altro pezzo acustico, è un ottimo brano dal tipico songwriting di fabbrica Noel Gallagher, con un immediato ed orecchiabile giro di quattro accordi, ed un cantato malinconico-accattivante. Due delle tre tracce che chiudono l’album non vedono nessuno dei due Gallagher alla composizione: sono "Keep the Dream Alive", il secondo brano scritto da un Bell evidentemente in ottima forma, e "A Bell Will Ring", scritta dal chitarrista ritmico Gem Archer, che il musicista esegue con una Rickenbacker carica di effetti, con cui dà prova di una certa duttilità.

Manca solo il romantico lento da classifica per ottenere la formula del perfetto disco degli Oasis, brano sapientemente scelto per la chiusura dell’incisione. "Let There Be Love" ovviamente rimarrà scolpita nel cuore degli appassionati a pari merito con altri enormi successi come "Wonderwall" o "Stop Crying Your Heart Out". Una perfetta combinazione di orecchiabilità e “sensibilità commerciale”. Chitarra acustica e pianoforte dialogano alla perfezione, mentre il cantato viene eseguito per metà da Liam e per l’altra metà da Noel.

La critica come al solito si divise su "Don’t Believe the Truth": ora venne considerato l’album migliore dai tempi di "(What’s the story) Morning Glory?", ora come l’ennesima spacconata pop di “quei cialtroni dei Gallagher”, che sicuramente non hanno fatto della modestia e dell’umiltà i loro punti forti. I due, dal canto loro si lasciarono andare con improponibili paragoni, cosa che d’altronde hanno fatto per ogni album pubblicato, accostando ogni loro lavoro in studio ad uno dei tredici album dei Beatles. Ovviamente la loro megalomania non ha nulla a che fare con l’oggettività: "Don’t Believe the Truth" non è altro che un buon album di britpop, con momenti eccellenti ed altri sottotono. Non è il loro canto del cigno, ma la sintesi di tutti i loro gusti musicali e le loro (poche) evoluzioni di sound concentrati in undici tracce: un’oretta gradevole che vale la pena trascorrere.

V Voti

Voto degli utenti: 5,1/10 in media su 14 voti.
10
9,5
9
8,5
8
7,5
7
6,5
6
5,5
5
4,5
4
3,5
3
2,5
2
1,5
1
0,5
MinoS. 6/10
leax 7/10
PehTer 7/10
Senzanome 5,5/10
luca.r 2,5/10

C Commenti

Ci sono 2 commenti. Partecipa anche tu alla discussione!
Effettua l'accesso o registrati per commentare.

swansong (ha votato 7 questo disco) alle 16:29 del 18 marzo 2011 ha scritto:

Bravo!

Quoto dalla prima all'ultima parola il parere di Dario! E, se posso aggiungere, direi che col successivo hanno fatto pure meglio!

dario1983, autore, alle 22:53 del 18 marzo 2011 ha scritto:

RE: Bravo!

Grazie mille!