Radiohead
Pablo Honey
Penso che il modo migliore per affrontare il primo album dei Radiohead sia di affrancarsi completamente da tutto quello che è stato fatto successivamente dalla band di Oxford successivamente. Questa premessa metodologica la considero necessaria per evitare una eccessiva mitizzazione di un gruppo che come pochi ha affrontato diverse correnti della musica in maniera più o meno fortunata a livello commerciale e artistico.
Cosa voglio dire con tutto questo preambolo? Che quando si ha a che fare con i “mostri sacri” (e penso che i Radiohead ormai si meritino questo titolo) si tende pericolosamente a scorticarsi di elogi affrontando in maniera indiscriminatamente positiva anche periodi e prestazioni più incerti.
Ecco perché bisogna cercare di mantenere un occhio critico su Pablo Honey, esordio datato 1993 dei Radiohead, gruppo di Oxford guidato da Thom Yorke. Risulta indispensabile mettere in un angolo i successivi capolavori Ok computer, Kid A, Amnesiac e cercare di contestualizzare in maniera più obiettiva possibile questo album.
E allora diciamocelo: Pablo Honey è un album discreto, ma tutto sommato mediocre. Oggi in molti cercano di rivalutarlo, probabilmente come conseguenza di un amore eccessivo per il gruppo, personalmente però faccio fatica ad accreditare questi giudizi.
Tra rimandi vari a U2 (Lurgee) e Smiths (I can’t) troneggia l'influenza del brit pop , con chitarre però spesso troppo poco elaborate, in un tentativo shoegaze-low-fi decisamente poco riuscito. Ecco perché pezzi come You, Vegetable, Prove yourself non riescono ad appassionare ma anzi procurano un lieve imbarazzo per l’impressione che danno di essere semplici riempitivi. Ciò non toglie che ci siano anche gioiellini di elevata fattura come la scarna ma romantica e intensa Thinking about you e l’incedere elettrico di Anyone can play guitar, ma soprattutto il singolo che diede al gruppo la sua celebrità: Creep. La canzone diventa un inno per una generazione ancora immersa in pieno nel clima grunge che imperversa. Di fatto la malinconia e la disperazione che traspaiono dal canto di Yorke e dal testo che già testimonia un certo “mal de vivre” sono tra i pochi tratti conduttori che sarà possibile ritrovare successivamente nella carriera della band. Rimangono comunque anche momenti pop rock godibili come How do you?, Stop Whispering, Ripcord mentre discorso a parte merita la finale Blow out che si distacca prepotentemente dal modello brit pop e mette in mostra un eclettismo inaspettato con una geniale miscela tra jazz e shoegaze e un finale psichedelico e distorto che fa pensare a un miscuglio tra Pink Floyd e Kraftwerk.
Che cosa rimane di Pablo Honey? Non certo un capolavoro, né in generale un grande album ma sicuramente un esordio onesto anche se comprensibilmente insicuro. L’impressione è che il gruppo risenta decisamente del clima sonoro di inizio anni '90 e si muova di conseguenza più o meno consapevolmente tra i confini del brit pop e del grunge sfornando un album decisamente convenzionale per l’epoca. Tutto questo però viene fatto con sufficiente capacità e ne consegue un ascolto tutto sommato piacevole, anche se con pochi picchi memorabili.
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