Suede
Coming Up
Intro
Il 1995 segnò l'apogeo del brit-pop. Gli Oasis pubblicarono il disco più venduto di sempre in terra d'Albione, i Blur uscirono con "The Great Escape" mentre "Parklife" ancora resisteva in top-10, i Pulp sbancarono Glastonbury per poi pubblicare "Different Class", Paul Weller e Charlatans trovarono gli album del rilancio, i Supergrass fecero il botto con "Alright".
Beffa del destino, quei Suede che avevano reso possibile tutto ciò, si ritrovarono infognati in una ragnatela di problemi personali e logistici, di fatto immobili mentre intorno infuriava la tempesta.
"New Generation", ultimo singolo da "Dog Man Star", uscì in febbraio, senza generare clamori, mentre la band si trascinava in tour con Richard Oakes a fare le veci di Bernard Butler. Al termine dei concerti il quartetto si rese conto di quanto il giocattolo fosse a pezzi e necessitasse una minuziosa riparazione.
Brett Anderson era ormai vampirizzato dall'eroina, e nel momento in cui si trattò di ritirarsi per comporre nuovi brani, divenne chiaro come metà della responsabilità ricadesse su un chitarrista appena diciottenne: situazione poco rassicurante, di certo non aiutata dal morale del cantante (il divorzio da Butler aveva generato strascichi depressivi, ben percepibili nei solchi di "Dog Man Star", la cui ricezione negativa da parte del pubblico ricadde poi come uno schizzo d'alcol sulla ferita aperta).
Fortuna volle che una serie di fattori si incrociassero, infondendo nella band un rinnovato entusiasmo: la sorprendente maturità di Oakes, collante a livello umano e capace di disegnare una manciata di futuri classici; l'ingresso del tastierista Neil Codling, avvenuto nel gennaio 1996; l'esperienza e la perseveranza del produttore Ed Buller, per la terza volta in regia e capace di adattarsi ai vari capricci della band.
Le direttive di Anderson furono chiare da subito: "we didn't want to write sad, epic stuff anymore". Nonostante oggi "Dog Man Star" venga considerato il migliore album della band e lo stesso Anderson non lesini a ripescarne per le esibizioni dal vivo, all'inizio delle session di "Coming Up" tutto ciò che importava era allontanarsi da quel colossale fallimento personale e commerciale. L'orchestra venne eliminata, lasciando solo sporadici tappeti d'archi (organizzati con gusto da Craig Armstrong), e Buller si ritrovò semplicemente a dover conferire il corpo più smagliante possibile a arrangiamenti ben calibrati fra energia pop-rock e quel vigore tecnologico apportato dall'elettronica di Codling (comunque in fase embrionale: il tastierista avrebbe poi fatto la parte del leone nel sottovalutato "Head Music"). Il risultato fu un disco da un milione e mezzo di copie vendute, numero 1 in GB e vetta commerciale della band.
Oakes VS. Butler: chitarre
Rimpiazzare il guitar hero della generazione brit-pop non deve essere stato semplice per Oakes, tanto che l'ex-ragazzino si porta ancora oggi appresso l'infamante titolo di 'clone senza talento', affibbiatogli all'epoca dal dimissionario strumentista. Risulta quindi necessario confrontare i due stili.
Oakes impostò forse il proprio modus operandi su quello di Butler, ma al tempo stesso ne modificò alcuni dei tratti caratteristici: ha quindi garantito una continuità, evitando di snaturare il sound della band, e ha al contempo consentito un passo importante per la necessaria evoluzione.
Mantenne per esempio le corde della chitarra abbassate di un semitono (un probabile stratagemma per andare incontro alle esigenze di Anderson, che poteva così gestire meglio acuti e falsetti), asciugando però (a parità di saturazione del suono) ogni sbavatura shoegaze, lavorando di sottrazione sino a lasciare uno scheletro laddove una volta il riff si ergeva maestoso. Ne risulta una chitarra mediamente meno impetuosa, ma probabilmente più graffiante (si pensi a "Lazy" e "Starcrazy").
Nonostante Oakes tenda a sfoltire gli impasti e le sovraincisioni tipiche di Butler, l'interplay fra le linee chitarristiche rimane ingegnoso. Nella prima strofa di "Picnic By The Motorway" l'elettrica ricalca la melodia vocale fino a confondervisi, per poi sviluppare una progressione indipendente nella seconda; nel primo ritornello si sente un arpeggio altissimo alla destra dello spettro audio, mentre nel secondo l'arpeggio passa a sinistra, facendo posto ad una distorsione dal sapore blues. Gli esempi da fare sarebbero infiniti: si pensi al contortissimo riff in ventidue note di "The Beautiful Ones" o a quello di "Filmstar", due sezioni di accordi con tanto di micro-variazioni all'inizio di ogni strofa. Alla faccia del talentless clone!
(R)umore di fondo: mood e sentimenti
Tanto sofferta prima e purificante poi è stata la gestazione di "Coming Up", che l'atmosfera dei brani ha assorbito una vasta gamma di signicati. "Coming Up" non è però l'album solare che i sei brani più dinamici farebbero credere a primo impatto. Così come è errato affermare che le quattro ballate servano a spezzare un'atmosfera altrimenti troppo sbilanciata verso la luce. Se "Dog Man Star" era soffocato da una cappa di pessimismo (che trovava riscatto solo nella conclusiva "Still Life"), "Coming Up" funge da antidoto affrontando le stesse tematiche da un'altra angolatura. Gli scenari urbani ci sono ancora: "Picnic On The Motorway" sembra una piccola sceneggiatura di Hanif Kureishi ("I'll buy us a bottle and we'll drinking in the pertrol fumes [...] there's a gap in the fence down by the nature reserve [...] such fun, looking at the lovers in a lay-by with my little one"). Anche la droga permane: "She" la affronta a volto scoperto e ne evidenzia l'incapacità di evadere la noia ("Nowhere places, nowhere faces, no one wants to see [...] She is bad, she is bored"), "The Chemistry Between Us" la utilizza per costruire un'ambigua metafora sull'amore ("Class A, class B, is that the only chemistry between us?"). Quant'è però diverso sentirne cantare in composizioni così ariose e scattanti, rispetto agli imbastimenti mastodontici del disco precedente.
Si potrebbe qui aprire una parentesi sull'impossibilità di isolare i testi delle canzoni dal proprio contesto musicale: Anderson non ha modificato il proprio stile letterario fra un album e l'altro, ma le stesse espressioni, contestualizzate in ambienti sonori differenti, forniscono sensazioni ben distinte. Quanto cambierebbe di significato la riflessione esistenziale di "The Chemistry Between Us", se anziché adagiarsi su una ballata angelica, caratterizzata da spazi aperti e grandi planate, dovesse poggiare su una marcia apocalittica con cupi arrangiamenti di ottoni? "Coming Up" prende insomma il ragazzo che nella copertina di "Dog Man Star" giaceva disteso sul letto e prova a farlo alzare: non solo per modo di dire, se si nota l'artwork. E d'altro canto è impossibile non soffermarsi su un dettaglio: il suo sguardo vuoto, inerme. Questo porta a un ulteriore interrogativo: dove finisce la vitalità e dove inizia la malinconia? La malinconia è un sentimento davvero più leggero della tristezza? Se si considera la storia dell'indie-pop, sin dalle prime emanazioni (come non ricordare "Love You" dei Primal Scream?), il sentimento di base era un contrastato mix fra candore adolescenziale e primi approcci alla sessualità: innocenza e curiosità erano destinate a entrare in conflitto, e nonostante i coretti e le chitarre spesso scintillanti, il corto circuito emozionale portava a un senso di insicurezza tinto di grigio. Musica che nella celebrazione della crescita e della scoperta della vita risultava infranta dalle ombre del futuro, spesso insinuate da un presente traballante. In parole povere: ma quanto fa schifo 'diventare grandi'?
I Suede al momento di "Coming Up" non erano certo una semplice band indie-pop: anzi il loro background glam li aveva spesso portati a affrontare la sessualità in maniera sfrontata, il sottointeso di quasi tutti i loro brani passati era una decadenza di stampo dandistico. Ora però serviva una marcia indietro, per esorcizzare quegli eccessi: e se mai i Suede si sono avvicinati ai valori indie-pop della prima ora, ciò è avvenuto con l'album in questione. "Saturday Night", la ballata posta in chiusura, è un'istantanea nostalgica in forma prospettica. La narrazione, impostata sul presente (tutti i versi contengono le parole "today" e "tonight"), è un arco di trionfo alla vita notturna londinese, che però, quando nel finale si libera in uno dei cori più tersi e cristallini che si ricordino ("oh oh, la la la, la la la"), genera un senso di dissolvenza che pone un cubitale interrogativo sul reale significato della vicenda (e quindi del divertimento negli anni della giovinezza, e quindi della vita stessa): non a caso anche nel video il coro coincide con la scomparsa della massa di corpi che ballano. Certo non si può definire triste un brano così soave, con quegli arpeggi vividi ma mai invadenti, quella voce che può finalmente espandersi, non più bloccata dalle catene della sofferenza: però quel ronzio di fondo che rimane una volta terminato l'ascolto, sottile linea di nostalgia e malinconia, è davvero così innocuo?
Sinceramente: se queste dieci canzoni si rivolgono alla vita, non possono certo dribblarne gliinterrogativi di base. La malinconia che le pervade sarà anche più costruttiva dei sentimenti di "Dog Man Star", ma è tutt'altro che leggera. Nel tentativo di sfuggire l'abisso dei suoi vecchi fantasmi, Anderson ha in realtà guardato in faccia un abisso forse ancora più affascinante: quello della maturazione e dello scorrere del tempo. E quant'è bello sapere che può essere affrontato con il ritmo ballabile di "The Beautiful Ones" o col ritornello a braccia spalancate di "Trash", anziché rinchiudendoci in noi stessi a rimuginare.
In ricordo di Rocco "Ian" Castagnoli.
Ringrazio Matteo Losi per l'indispensabile supporto tecnico e Junio per gli spunti.
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