Noah and the Whale
The First Days of Spring
"The First Days of Spring", canzone prima dell'omonimo secondo album dei Noah And The Whale, è una di quelle canzoni che spalancano le finestre: a entrare, una primavera sopita, che segue assonnata il risveglio stagionale delle percussioni, che per voce profonda e calmissima di Charlie Fink (leader del gruppo, voce e chitarra) assume pian piano le tonalità che le appartengono ("It's the first days of spring / And my life is starting over again / The trees grow, the river flows / And it's water will wash away my sins"), trova pace nella brezza mattutina dei violini, prima, fino a esplodere tutto il suo splendore nel vorticoso crescendo finale. Ma non è solo un album sulla primavera: parla prima di tutto di un amore finito (quello di Fink con la sua darling), o meglio, del superamento della sua fase depressiva ("But like a cut down tree, I will rise again / And I'll be bigger and stronger than ever before"). E infatti, a dispetto dei toni iniziali, della voce profonda e dei ritmi bassi, non c'è abbattimento nei versi, quanto una chiara presa di coscienza dell'arrivo di tempi migliori, difficili da affrontare – l'ultima cosa che vuole un depresso d'amore è la felicità – ma pur sempre migliori ("Well I don't think that it's the end / but I know we can't keep going / Cause blue skies are coming but I know that it's hard" recita il finale di "Our Window", la più lenta e intima dell'opera tutta).
Allora se presa di coscienza è, "I Have Nothing" dev'essere intesa, col suo perfetto humming iniziale, come la classica ricaduta speranzosa dell'amante-amato che prega l'amata-amante di tornare con lui ("I need your life in my life / need your life in my life / need your life / so come back to me, my darling... / I need your light in my life / need your light"); e "My Broken Heart" è proprio tutta tranne che rotta, sorretta com'è da un incantevole e bucolico assetto folk-pop – tutto violino leggiadro di Tom Hebden (tra i protagonisti dell'album), veloci accordi di chitarra e ritmo sostenuto – con tanto di schitarrata finale a tradire per un attimo l'anima indie del gruppo. E' questo il punto di forza dei Noah And The Whale: l'estro compositivo con cui incastrano i tanti strumenti in gioco, con i quali riescono a intrecciare trame melodiche sempre fresche e piacevoli, chamber-folk purissimo sulla scia dei Balmorhea, al servizio di una fruizione d'ascolto tanto rapida quanto empatica – quasi una condivisione di sentimenti psicoterapeutica quella di Fink – e mai stancante (e dire che è un album pure abbastanza lungo).
A mantenere sempre alto l'interesse ci pensano poi i cambi di tono, di stile, tanto da passare di slancio al folk corale di "Love of An Orchestra" trionfale e fastoso come l'allegro "Peaceful, The World Lays Me Down", esordio col botto dei nostri inglesi. Proprio quando si inizia a temere il fisiologico calo della seconda parte, ecco che il romanticismo folk pastorale di "Stranger" ci strega a vita coi suoi ipnotici giri di chitarra acustica, i suoi squarci emozionanti di violino e quel suo andamento da passeggio nei campi sul finire (qui davvero tanto dei Balmorhea di "All Is Wild, All Is Silent" e qualcosa dei Loch Lomond). E poi ancora un'altra perla, la frizzantissima "Blue Skies", ripresa tematica-musicale di "Our Window", che pone il definitivo superamento della malinconia amorosa (niente piano in scioglimento stavolta, solo chitarre accese, percussioni briose e cori esultanti) navigando finalmente nei cieli più azzurri. Si arriva così, con "My Door Is Always Open", alla conquista della pace interiore, alla consapevolezza di una nuova libertà sentimentale ("But now I'm free / Now I'm free / Now I'm free from all your pain"), con Fink che semplicemente si rilassa con la chitarra nella sua isola solitaria (in questo senso gli effetti tropical), che dall'alto di questa nuova serenità acquisita lascia comunque una porta aperta all'amata ("Well you have only let me down / You have only let me down / But my door is always open / Yeah my door is always open") ma che si leva anche il sassolino dalla scarpa chiarendo i motivi della sua rinascita in una scansione finale ripetuta e impressa a fuoco ("Yeah I love with my heart and I hold it in my hands / But you know, my heart's not yours").
Un disco emotivo, lo si capisce subito, scritto con tutti i sentimenti possibili e suonato magnificamente. Niente a che vedere coi superficiali esercizi pop che verranno.
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