Lana Del Rey
Born To Die
- Do you think well be in love forever?
Tanto ormai la saprete tutti la storia. Vero nome Elizabeth Grant, venticinque anni, figlia appurata del magnate internettaro Robert Grant. Nel 2008 esordisce su formato digitale con lEP Kill Kill, passato inosservato e inascoltato. Due anni dopo, tenta il colpaccio sulla lunga distanza con lalbum Lana Del Rey A.K.A. Lizza Grant, ma il disco sparisce dalla circolazione quasi subito e lei, zitta zitta, stacca per ridefinire look, sound e poetica (pazienza se ad alcuni il termine sembrerà fuori luogo). Eccola ripresentarsi a fine 2011 come curioso mix fra ragazza cheerleader e sfatta vamp dei 50s, gansta Nancy Sinatra dal cuore eternamente spezzato, broncio ribelle e labbra oversize. Il singolo Video Games, accompagnato da un video in stile Lynch casalingo editato dalla stessa Del Rey, fa il botto: ad oggi oltre 23 milioni di visualizzazioni su Youtube per questo funereo intrecciarsi di medium musicali & visivi, n. 1 nelle chart di iTunes in ben 9 paesi fra cui UK, Francia, Germania e Olanda; una delle cose più grandi del 2011. Altra novità: Lana è passata alle cure di una major, la Interscope. Pur senza un vero album da promuovere, parte il girotondo di apparizioni televisive e concerti a zonzo per UK (il suo nuovo domicilio) ed Europa continentale, fino alla contestatissima esibizione del 14 Gennaio al Saturday Night Live (peccato che in pochi ricordino quella, invero perfetta e di rara efficacia, alla corte di Jools Holland).
Nel frattempo, il secondo singolo Born To Die (stavolta il riferimento visivo pare il Lynch più grafico e patinato di Cuore Selvaggio) scuote critici e pubblico generalista a suon di archi cinematici, tappeti elettronici di marca William Orbit e beat gagliardo, il tutto accostato al contralto della Nostra. Leffetto è in un primo tempo stordente, ma col prosieguo degli ascolti se ne comprende la grandezza. Come se non bastasse, da questo momento il chiacchiericcio mediatico assume proporzioni insostenibili, mostruose. Loggetto (fantasma) del discutere, labbroni a parte per tacere del sempre spassoso dibattito su ciò che è marketing e ciò che, invece, resta dura & pura manifestazione di artisticità , è oggi arrivato a noi: Born To Die, album sorprendentemente e pericolosamente omogeneo, il cui tema conduttore è lamalgama di americana, ballata elettronica 90s, pop barocco 60s e ritmiche hip-hop. Un idioma riconoscibile, originale, esplorato in lungo e in largo nellarco di 12 tracce (15 nelledizione deluxe).
Proprio in ragione del suo essere raccordo fra esperienze musicali lontane nel tempo, qualcuno ha già parlato di pura retromania, sennonché il risultato va oltre il pastiche o laggiornamento di sonorità old-fashioned. Quella di Born To Die è unorrorifica, destabilizzante metamorfosi del concetto stesso di teen pop, ottenuta scrutando il ground zero del sogno americano: unAmerica che è brodo primordiale di rievocazioni e cliché, reliquiario di icone a loro volta dissipate, cadute (sovviene una fra le sequenze più incisive del video di Video Games, dove unattrice sbronza inciampa sul marciapiedi). Del resto, la scelta della trinità a cui la Del Rey dice di ispirarsi parla chiaro: artisti che hanno vissuto il decadimento fino alle estreme conseguenze (Cobain, Presley), o abbastanza da restarne segnati in modo indelebile (Britney Spears). Alcuni osservatori hanno liquidato loperazione come maledettismo preconfezionato, altri ancora come ribellismo da scolaretta. In effetti, Born To Die è anche tutte queste cose. Soprattutto, è opera in cui la manipolazione degli assunti di base risponde a una pulsione funerea, sotterranea (ecco la tassidermia farsi criterio procedurale), spinta (auto)distruttiva che supera la giocosità del postmoderno e sfocia nella creazione di uno scenario onirico, a un tempo vivido e terminale, da Blue Velvet 2.0..
Off To The Races, secondo brano in scaletta, sintetizza il discorso come meglio non si potrebbe. La traccia si apre con un appena percettibile ma penetrante tappeto di voci manipolate (espediente utilizzato anche in altri brani, quasi un marchio di fabbrica), siano esse lamenti o grida di approvazione, un pubblico/coro di dannati che presenzia al freak show e diventa esso stesso parte della rappresentazione. In contemporanea entra lugola di LDR, prima settata sul registro sexy/catramoso di Bobbie Gentry, poi moltiplicata in coro psicotico e, infine, regredita allo squittio di una lolita (Light of my life, fire of my loins ) in prossimità del ritornello. A dipingere i fondali ecco un tripudio di archi, il sinistro cicaleggio della chitarra twang, lirruenza del beat, con caratteristica enfasi sul secondo e quarto tempo di ogni misura: tutto lapparato di codici viene compresso in una pulp story (o, meglio, lastrazione di una pulp story) che, perdonate lenfasi, rasenta il sublime.
Al di là delle finezze di studio e ce ne sono tante, basti pensare alle prodezze a cui sono stati costretti i produttori Emile, Justin Parker e Robopop per far interagire elementi allapparenza antinomici , a lasciare di stucco è la qualità del materiale. Born To Die, insomma, non è solo showcase di un sound, ma un album di grandi canzoni. E se Video Games e la Title Track sono già classiche, altre lo diventeranno presto (o almeno si spera, visto che allorecchio non savverte alcuno scarto qualitativo): canti purissimi come Radio o Dark Paradise, sospesi in un tempo che può essere solo quello della mente; la grazia aerobica di Diet Mountain Dew (qui in versione diversa da quella che ha circolato in rete nelle scorse settimane), fra note di pianoforte a grappoli, breakbeat a mò di rasoio e coretti girl group; la glaciale Summertime Sadness; la disperata epicità country di Blue Jeans; il puccioso amarcord adolescenziale di Thats What Make Us Girls; lincubo orchestrale Lolita (una bonus track) nel quale convergono tutte le ossessioni artistiche della Del Rey (Nancy Sinatra, John Barry, RZA, Timbaland ), apocalittico mini-musical la cui struttura si fa via via più entropica, quasi la colonna sonora di un collasso nervoso.
Per non parlare dei momenti più raccolti, come quel capolavoro espressivo che è Carmen, comunione fra torch song e aria operistica, agrodolce ritratto di una teen diva per metà Norma Desmond e per metà Turnandot. O ancora Million Dollar Man, ballad da spy movie screziata da rumorismi, dove la Del Rey si atteggia a Peggy Lee con lemicrania mentre sorseggia il suo Black Coffee. Del lotto, soltanto National Anthem non ingrana, forse perché eccessivamente sbilanciata verso lhip-hop. Tutto il resto, almeno a giudizio di chi scrive, splende.
Sarebbe ingiusto, in ultima analisi, se il clamore suscitato dal personaggio Lana Del Rey mettesse in secondo piano il talento della Grant come autrice, la sua abilità nello scovare linee melodiche sempre nitide, evocative, semplici ma costruite con intelligenza. Lo stesso dicasi del suo valore come interprete: raffinata, personalissima, capace come in questa performance, magari viziata soltanto da qualche iniziale incertezza sullintonazione di esasperare maniacalmente il contrasto fra registro catacombale e quello infantile. I testi, vista la loro pregnanza, meriterebbero unanalisi a parte. E infatti, pur nella sostanziale e necessaria levità del vessillo pop a cui si aggrappa, il mondo lirico di Born To Die pare il risultato di un processo di assimilazione/elaborazione che ha per oggetto i capisaldi estetici di unintera cultura: Las Vegas, lo Chateau Marmont, l'infinita suburbia degli States, la morte di 2Pac o dello stesso James Dean, il mito dell'automobile, etc. La parola a Lizzy Grant: New York's architecture alone is enough to inspire a whole album. In fact, that's what happened at first - my early stuff was mostly just interpretations of landscapes. Eccola la chiave: interpretazione di paesaggi, fare di se stessa e della propria musica il riflesso deforme non solo delle icone pop, ma dei luoghi chiave della geografia nazionale; entrare in risonanza con le rovine di una civiltà, in una perfetta, fumettistica e terribile consonanza fra pubblico e privato.
E non è un caso che gran parte del footage di Video Games sia composto da filmati amatoriali girati allo Chateau Marmont, quasi a voler riesumare tutto il rimosso di glamour e dissipazione che ledificio si porta appresso. In fondo la stessa Video Games, più che biglietto da visita con cui unartista indie si affaccia sul palcoscenico mainstream, pare un brano di congedo, lultimo saluto di una veterana al suo pubblico fidato; implica/necessita una conclusione, preannuncia una fine. E come se, nel presentarsi al mondo, Lana Del Rey gli dicesse subito addio, lacrima sulla guancia e broncio di circostanza. Il tempo di guardarsi e farsi guardare. Nata per morire, nel crudele e fugace ciclo vitale dello stardom.
- Everything I want I have/ Money, notoriety, rivieras/ I even think I found god/ In the flash bulbs of your pretty cameras
A dispetto della scia di detrattori pronti a spergiurare che lintero fenomeno altro non è che una gigantesca bolla di sapone (go fuck yourself, Juliette Lewis!), LDR potrebbe invece affermarsi come la pop star più "meta-qualcosa" degli ultimi tempi. E chi potrebbe farle concorrenza, in questo senso? Non Adele, lucroso e allapparenza imperituro frutto della mania X-Factor (e quella del reality rimane manifestazione intimamente connessa al corrente modo di percepire e fruire la musica pop), innocua ragazzona della porta accanto che mette daccordo tre o più generazioni di ascoltatori con brani a volte anche grandissimi brani in cui metabolizza decenni di british soul. Lady Gaga, dal canto suo, pare animata da un intento similare, ma intende l'operazione essenzialmente come un portare all'eccesso di più, a un punto di non ritorno stilemi pop abusati, un forzare "forme" già codificate: lipercinetica tendenza al travestimento/travestitismo, il recupero in chiave postmoderna del booklet fotografico di Mrs. Ciccone, l'idea dell'artista che è uno, nessuno, centomila volti a seconda del contesto.
Non che la Del Rey si discosti completamente dalla prassi, essendo lei stessa un personaggio che si crea un contesto scenografico, virtuale da abitare. Ciò che sorprende di LDR è lapproccio, la multidimensionalità. Lizzy Grant punta sulla natura double face del suo personaggio (superficie chirurgicamente asettica, eppure infetta), sull'intersecarsi quasi "ballardiano" di piani - quello generale e quello individuale - che videoclip come quello di Blue Jeans o della stessa Video Games sembrano suggerire: ogni immagine riverbera o esplicita un particolare della "maschera", e al tempo stesso la maschera altro non è che il residuo emozionale di avvenimenti, luoghi, simboli. La regola sembra quella di estrapolare i dettagli dal loro contenuto, riplasmando questultimo come caos percettivo ancor prima che come riproduzione seriale.
Il meta-qualcosa può però anche relazionarsi alla sfrontatezza del disegno, alla progettualità che lo sottintende: lascesa repentina di Lana sarebbe pertanto limplacabile riflessione, per giunta in tempo reale, sul pretendere di essere una star, palesando iperrealisticamente tanto i meccanismi di concertazione fra forze in campo (label, ufficio stampa, consulenti dimmagine, media, blog, etc), quanto il cortocircuito mediatico deputato a irretire o irritare le masse, ingabbiandone comunque lattenzione. Ecco perché ha ragione chi nota quanto poco vi sia di genuino nel personaggio Lana Del Rey. Perfino il suo apparente sbucar fuori dal nulla, da unoscurità che nelle interviste viene rivelata forzatamente e soltanto per frammenti (vedasi linfanzia trascorsa in provincia, poi lapprodo nella Big Apple dove la diciottenne Elizabeth non aveva un posto in cui vivere), persino questo, si diceva, rileva come espediente finalizzato alla ricreazione di un alter-ego cinematografico, archetipo di outsider al femminile che addenta e trapianta sul proprio corpo i segni distintivi di eroine pulpose, squisitamente demodé; e tutto ciò nonostante la prospettiva di uno sputtanamento immane (quanto è stata e sarà oggetto di scherno per via di quelle labbra rifatte?).
Questo archetipo è Lana Del Rey, icona patinata ma attraversata da un inquietante fremito di oscurità, proprio perché così spavaldamente/patologicamente artificiale. Come se il suo giovane viso avesse ereditato, dellAmerica, quei segni di igienica sofferenza, di placido terrore, di osceno benessere. Unadolescente bizzosa che la noia ha confinato in uno spazio virtuale, surrogato della realtà, un non-luogo dove gli imperativi sono wining and dining, drinking and driving, excessive buying, overdosing, dying, on our drugs and our love, on our dreams and our rage, blurring the lines between real and the fake (da National Anthem). Uno spazio esistenziale nel quale il contatto con le telecamere (Sing your song now/ The cameras on and youre alive again da Carmen), lungi dal risolversi nel piacere di essere osservata, riconosciuta dagli altri, acquista invece il carattere del riconoscimento di sé, lapprodo ad una improbabile domesticità, ad un luogo di costruzione dellidentità (così Chiara Borroni nella sua analisi di Da Morire di Gus Van Sant, su Gus Van Sant a cura di Barbara Grespi, Ed. Marsilio, 2011). Ma è anche luogo di dolore e, soprattutto, di trasfigurazione del dolore, se è vero che persino la nostalgia per la passata "geekiness" acquista i caratteri del mito (Watching all our friends fall/ in and out of Old Pauls/ this is my idea of fun/ playing video games ); un luogo dove ogni esperienza sillumina dombra, ogni comunicazione verbale acquista un significato intensificato, ogni posa annega in un calcolato e finora remunerativo autolesionismo.
A questo punto non resta che aspettare, ascoltare e guardare. Le prossime mosse di LDR ci diranno come si evolverà lintero progetto e, più di ogni altra cosa, se lingombrante fardello riuscirà ad essere gestito dalla stessa Grant. Il timore infatti è che, nel dispiegarsi delle maglie promozionali, stia venendo fuori più Lizzy che Lana, col rischio di minarne il potenziale in interviste dalle quali trapela una ragazza impacciata, dolce, persino timida (a meno che tutto ciò non faccia parte del "piano"). Domanda da un milione di dollari: sarà Lizzy Grant allaltezza di indossare la maschera Lana Del Rey?
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