Beach House
Thank Your Lucky Stars
Heard it's your birthday
Candles in a row
Better blow them quick
Before they're melting on the floor
Ebbene, sono già tornati. Ci eravamo divisi sulle spiagge poco gremite di unestate morente, addentando le ultime angurie di stagione, lasciandoci attraversare ancora dal favonio, la testa in aria, a contemplare le nuvole correre, più veloci ora, settembre alle porte. Ma, a sorpresa, i Beach House sono riapparsi. E sfoggiano un altro disco a soli cinquanta giorni dalluscita dellultimo, Depression Cherry.
Che non era così sgraziato - nella sua scorza tutta bordeaux, già tra i migliori frutti dellanno 2015 - da necessitare questa specie di postilla, o di gemello eterozigote che è Thank Your Lucky Stars (titolo che fu di un album live di Morrissey e compagni, o di un film musicale del 43, con un cameo di Humphrey Bogart). Il lavoro di oggi è tuttavia materia dissimile dal suo immediatissimo predecessore, lo dice anche il duo di Baltimora (è forse più vicino a Teen Dream?): benché registrato nello stesso periodo di DC, le sue canzoni sono state scritte dopo quelle dellaltro disco pubblicato in agosto. Non va insomma letto come un secondo volume, il proseguo ravvicinato di una saga: TYLS è un notevolissimo capitolo autonomo, sebbene in esso si riproducano tutti i semi che i Beach House avevano sparso altrove, fin dagli albori: basti pensare alla trotterellante Common girl, che parte quasi identica a On the sea (era in Bloom), con Victoria che poi dice altro, e così altro afferma la musica, affinché il pezzo prenda strade diverse.
In copertina: una bambina in una foto in bianco e nero, biondissima, ha gli occhi chiari che non guardano nellobiettivo, balenano come quelli di uninfanta di Velasquez, in mano pare aver scartato un regalo, una bambola, che non è bionda come lei e come tutte le bambole, è piuttosto una marionetta, un fantoccio. Una bambina che sarà comunque donna, smarrendo via via la semplicità e la purezza: il soggetto delle liriche della Legrand è per queste nove tracce una lei imprecisata. Testi come al solito essenziali: occupano poco spazio nella pagina, poche pregne righe, ma tanto dicono, tanto celebrano, Victoria sempre attenta alle rime e ai giochi di suono. Malgrado musicalmente sia un disco per lo più carezzevole, le liriche talvolta feriscono e hanno spine di languore, di sconforto e di amarezza: When I come home / You're just lying there / Face against the wall / Never had a care, si dirà più o meno a metà ascolto.
Lindolente dream-pop dei Beach House, insomma. Palese in Shes So Lovely, dove è sempre quella, la batteria digitale, quello lorgano, tutta in minore, esprime una decadenza da capogiro, nella consapevolezza del distacco come sola possibile guarigione (And all I have to do / Is stay away from you). Palese in The Traveller, prodigioso epico viaggio, un inizio inebriante, si è come in cattedrale, la voce ultraterrena di Victoria, che ricama anche con le dita sullorgano, filatrice daltri tempi. Palese in All Your Yeahs, dove governano nel finale le tastiere lampeggianti. O in Majorette, in cui dondola larmonia cromatica delle sei corde. O in Elegy to the Void, dove emerge la chitarra di Scally in questo lungo componimento vagamente dissonante e cadenzato.
Cadenzata è anche lottava traccia (Rough Song), Victoria a tratti parla proprio dove batte il tempo, sillabando bene le parole (Shut the door shell have no more another vodka cocktail party), poi canta come ondeggiando tra le dune del deserto, mentre Scally, al termine, si impunta col medesimo giro di note, come fa sovente, ma sono quelle giuste, quelle che servono. Uno dei pezzi più clamorosi, One Thing, può poi considerarsi come già un classico dei Beach House: cè finanche un hallelujah ben scandito, la pioggia di chitarra si rinfocola nel finale in grande spolvero, si sogna.
Lindolente dream-pop dei Becah House. Che si trasforma nel lento della vita (Somewhere Tonight), che chiude il disco, che potrebbe chiudere unesistenza, tra sale da ballo dai pavimenti rosa blu e rossi, come in un film anni 60, passettini ravvicinati, il silenzio degli sguardi, la conversazione degli spiriti, calore dei cuori, calore delle carni, lacrime, un bisbiglio, vedi-quello-che-vedo-io, è come danzare sulla neve, sotto la luce falba dei lampioni, tu la testa sulla spalla, io la bocca nei capelli. E il mondo altrove. Lamore: da qualche parte, stanotte.
In sostanza, il duo di Baltimora non propone nulla di nuovo, nella rara dote di abbracciare trascinanti melodie inedite con quelle forze consuete, musica calda e umana come calda e umana è la voce flessuosa e celestiale della sacerdotessa Legrand. Così nel sesto episodio della loro folgorante carriera non si scorge mezza falla, mezza caduta, solo parabole che non conoscono discese. E mentre penso questo, penso a ciò che sentivo dire ieri: che leggere una poesia prima di dormire è come togliere tutta la sporcizia della giornata. Farò lo stesso con le canzoni dei Beach House, allora. Una a sera, come fossero balsami, prima di spegnere l'abat-jour: del comò e dei pensieri. Sarò più bello e pulito e divino.
Perché in principio erano i Beach House. I Beach House erano presso Dio e i Beach House erano Dio.
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