Blonde Redhead
23
Ogni ascoltatore di musica ha una ben precisa definizione personale, consapevole o meno, di cosa renda un album davvero speciale, e i gusti non si mettono in discussione, visto che abbiamo e siamo tutti cervelli e sensibilità diverse. Così, perché un album incontri il favore unanime di pubblico e critica bisogna che sappia davvero passare oltre i gusti personali e toccare quelle corde della sensibilità comuni a tutti, così poche e difficili da raggiungere e però capaci di fare venire i brividi alla schiena.
I Blonde Redhead avevano centrato l’obiettivo con “Melody Of Certain Damaged Lemons”, poi col successivo “Misery Is A Butterfly”, e ora pubblicano “ 23”, dopo tre anni di attesa. Attesa che, già dopo il primo ascolto del disco, risulta evidente non essere stata vana.
L’emozione scorre liberamente anche tra le note di quest’album, confermando i Blonde come una delle più belle realtà della realtà pop alternativa, veri professionisti mossi innanzitutto da un amore sfrenato verso la musica, che non scende a compromessi con le logiche di mercato neanche con quest’album, che dei tre citati è comunque quello che presenta l’approccio più “semplice”.
Ma nonostante i nostri siano i titolari di uno stile ben conosciuto e invidiato da molti, non se ne sono stati di certo con le mani in mano in questi tre anni, ed hanno raffinato ulteriormente il loro sound: “23” si presenta dunque come un lavoro perfettamente in linea con le produzioni e il mood tipico del gruppo, ma con ben precise innovazioni rispetto ai precedenti lavori.
Via gli arrangiamenti barocchi, complicati e raffinatissimi allo stesso tempo del precedente disco, e i crescendo di archi ai quali spesso era affidata la struttura portante delle canzoni: qui gli spazi si dilatano, e come nella riuscitissima opening track “23” sono spesso i tappeti di suono – sia esso un synth o una chitarra effettata o la voce riverberata – a reggere tutta l’emozione, laddove in precedenza spesso erano intervalli particolari tra le note a rendere uniche certe canzoni.
Incredibilmente, però, allargare gli spazi d’azione non ha comportato per i Blonde Redhead una conseguente diluizione dell’effetto emozionale: anzi, casomai ora è più facile perdersi nel cantato di Kazu Makino, che supportata da riff tanto elementari quanto accattivanti (e dilatati dai synth) sembra raggiungere ancora più facilmente le corde emozionali dell’ascoltatore, come nella elementare, bellissima “The Dress”.
Ci si chiede che fine abbiano fatto certe atmosfere più melanconiche, dove spesso a farla da padrone era la voce di Amedeo, ed ecco che ti spunta “Sw”, canzone riuscitissima governata dal solito, bellissimo gusto per la ricercatezza della linea vocale, interrotta a metà da una sezione di fiati che pare presa dai Beatles più ispirati. E la conferma di Amedeo come costruttore di linee vocali e musicali tanto semplici quanto riuscite arriva subito dopo con “Spring And By Summer Fall”.
Nella seconda metà dell’album ci si muove, con una certa sorpresa, tra atmosfere più elettroniche e al contempo più retrò, dove i Blonde Redhead rendono un palese omaggio a un certo tipo di pop coltoanni ’80, del quale si sono sempre professati dei fan (la bellissima “Silently”, o “Top Ranking”).
La summa di quanto detto finora arriva puntuale con “Publisher”, piccolo gioiello nel quale si mescola perfettamente la tendenza al minimalismo elettronico (con effetti di supporto), il gusto per la raffinatezza del riff vocale, e le diverse quanto complementari capacità canore di Amedeo e Kazu. Sta di fatto che quando si apre il ritornello ogni colpo di Simone sul raid sembra andarci a colpire proprio sui quei nervi ormai scoperti, arresisi all’assalto di così tanta intelligente spontaneità nella costruzione delle armonie musicali.
Rimane spazio, in chiusura, per una ballata tanto atipica quanto di incredibile facile presa sull’ascoltatore, a conferma che ormai i Blonde Redhead hanno assimilato la lezione “pop”, ma non di certo per tramandarla così come l’hanno appresa, quanto per rinnovarla e reinventarla.
Forse, l’unico difetto di questo album è il fatto che sembra – rispetto ai suoi predecessori – più una collezione di bellissime canzoni che non un’unica opera: non di certo da considerarsi come un grave difetto, casomai una conferma del proposito innovatore del gruppo.
Anche perché, sfornare tre album di fila di altissimo livello senza ripetersi è una prerogativa di pochissimi, dei più grandi. Di chi ama davvero la musica.
Tweet