Blonde Redhead
Penny Sparkle
“Now it's day but I am dreaming”, canta Kazu Makino nel ritornello del brano che apre Penny Sparkle, con la sua voce perforante, rimasta unico baluardo non demolito dei fasti violenti che furono. L’importante è che, non lo dico per sciupare l’ermetismo onirico dei sempre splendidi versi intonati dalla brava giapponese, il sogno non si addomestichi tediosamente in sonno, e si, a onor del vero di tanto in tanto si corre questo pericolo.
È davvero così fisiologicamente scontato il percorso di una band? Veramente i furori primigeni degli esordi si smussano sempre col tempo in favore di eteree morbidezze? Quanti artisti conoscete che in corso di più o meno fortunate carriere abbiano avuto la loro svolta pop, cui è seguito un consueto crogiolarsi su lente (comode?) derive? Ma da quando vecchiaia (artistica, eh) è divenuto sinonimo di placidità? Lo so, molti di voi, e anch’io, possiedono le risposte a queste domande, e resta fondamentalmente irrisolta l’indagine sulle ragioni di alcune scelte o di certi cambiamenti di rotta. Pane al pane e vino al vino: il nuovo Blonde Redhead non è affatto un brutto album. È poetico, sentito, cerca di affiancare nuove strade a quelle già intraprese, pur restando fedele a certi stilemi che sono poi peculiari di buona parte del catalogo 4AD, etichetta cui sono legati (a ragione) dal 2004 dell’osannato Misery Is A Butterfly.
Proprio quel disco, la vera svolta nel sound Blonde Redhead, mi aveva affascinato, tanto nell’attesa, ben quattro anni dal capolavoro insuperato Melody Of Certain Damaged Lemons, tanto nella sorpresa di come quei quattro anni fossero stati forieri di novità, idee e sperimentazione. A prescindere dal risultato (buono), non è affatto poca cosa. Oggi, dopo un 23 che parzialmente li sorprese a ritrattare, Penny Sparkle aggiunge francamente poco alla cifra stilistica della band, piuttosto sottrae.
Registrato tra New York e Stoccolma e prodotto da Van Rivers e The Subliminal Kid (già alle prese col progetto Fever Ray), l’album si sviluppa su dieci movimenti (?) in cui è lampante la rinuncia totale alle chitarre e a qualsivoglia sonica velleità. Canzoni invischiate in una melassa di synth di sapore eighties, opportunamente dilatata a uso e consumo di una personalità che resta definita, senza per questo funzionare a dovere. Pezzi come Spain, dalle godibili impennate vocali, Love Or Poison (ingrediente novus: un trillo lontano), My Plants Are Dead, tanto mestiere e poca incisività, Not Getting There, inutilmente stratificata, concedono aria agli sbadigli e davvero poco di più. Appena superiore è Will There Be Stars, con Amedeo Pace alla voce, ammesso e non concesso di dimenticarci cosa fu Loved Despite Of Great Faults. Decisamente meglio va invece in Here Sometimes, che ci illude in apertura con un’electro morbida e trasognata, negli slanci di una glaciale Oslo, e nella - finalmente - saturazione dei vuoti di Everything Is Wrong. Appunto. Il posto in cui legittimamente minimalismo fa rima con lirismo è nella liquefazione dolorosa della title track, scheletrica ma terribilmente giusta, mentre Black Guitar si prende lo scettro della preferita di chi scrive, con Kazu Makino e Amedeo Pace che si alternano alla voce raggiungendo apici poetici inesplorati e affascinanti.
Tra sperimentalismi che stringono l’occhio a Kid A senza possederne l’audacia né la portata, e il trip-hop ammorbidito dei Massive Attack più annoiati, l’unica arma in possesso dei Blonde Redhead odierni è la voce di Kazu Makino e una manciata di idee che pretendono sviluppi più approfonditi e meno omogenei. Oltre ovviamente a una classe superiore che non può essere evaporata nel tempo.
Se fosse una visione onirica, la carriera dei newyorkesi potrebbe essere paragonata a un uomo che nuota verso la terra promessa: parte a delfino, potente e muscoloso, prosegue a stile libero, sicuro e veloce, ripiega sul dorso, stanco ma in movimento. Penny Sparkle è quel nuotatore che attualmente fa il morto, prende fiato e si lascia portare dalla corrente. Ha le spalle più larghe, e forse approderà su una spiaggia paradisiaca, che di sicuro non sarà la terra promessa. A loro decidere se continuare a cercare, o fermarsi qui. Voi cosa fareste?
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