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R Recensione

7,5/10

Cloud Control

Dream Cave

Dream Cave è il nome di un noto albergo di Göreme, in Cappadocia, dove i cosiddetti “camini delle fate” – rocce vulcaniche erose dal tempo – si slanciano alti e suggestivi, come magri pinnacoli, affusolati. In quest’hotel dell’entroterra turco, le camere sono magicamente scavate nella roccia, e si dorme in piramidi naturali, o trulli dalle cupole imprecise. Semplicemente grotte, spelonche da sogno. Pare davvero di trovarsi in una di queste caverne, quando alla fine del disco cadono tante gocce d’acqua, e riecheggiano, mentre la voce ha appena smesso di ammettere che sì, si trova in una “grotta da sogno” fabbricata dal suo amore. 

I Cloud Control sono tre ragazzotti e una fanciulla, tutti originari di quell’Australia fucina di giovani talenti. Della terra dei canguri è anche Leif Podhajsky, ormai guru dell’artwork planetario e curatore anche di questa copertina: da lontano sembrerebbero solo distratte pennellate verde “mirto”, con punte di bianco. Invece, forse, è un mare obliquo in tempesta, quello rappresentato, e sporge una rupe, uno scoglio, e un omino in piedi, nero, osserva la burrasca. Tutto molto onirico, non può essere diversamente quando di mezzo c’è il sogno, e la parola dream, verbo o sostantivo, compare sovente nell'arco dell'album. Tutto molto lisergico, come poi è manifesto nella musica.

Si ha spesso l’impressione, ascoltando questo secondo LP dei Cloud Control (balzo in avanti rispetto al pur buono Bliss Release, del 2010), di ballare un po’ storditi, rapiti, al centro di una sala, con luci intermittenti che socchiudono gli occhi e muovono la mente (si veda The Smoke, The Feeling, superba). Derive dance non sono del tutto insolite in questa congerie di disparate inclinazioni, dove spicca un pop, indie e alternativo, che si guarnisce di synth-rock e di robusti respiri psichedelici (o almeno quelli più tipici dei Sixties). L’elettronica è più che un’ombra, in un disco tuttavia molto “suonato” in ogni sua parte, soprattutto negli effimeri assoli di Fender, spesso brillanti. Dunque congerie, certo, eppure lavoro non per questo disorganico, caotico.

Notevole è l’intesa della coppia Wright-Lenffer, due voci di sesso diverso che ambiscono al solito scopo, con successo: accattivare, scambiandosi di posto e intensità. Voce maschile spesso camuffata, distaccata, quasi puerile come quella di Trevor Powers (Youth Lagoon), in atmosfere eteree (Cocteau Twins), tra falsetti e arrangiamenti che non sfigurano con quelli peculiari di Yorke e dei suoi Radiohead (Island Living). La pregevolezza delle melodie, peraltro, cita i migliori Noah and The Whale, mentre la sensibilità così varia è quella degli imberbi Alt-J.

Psichedelia di casa fin da subito, con la breve Scream Rave, colma di effetti, di loop, di ritorni tipici dei Tame Impala, compatrioti, palpabili anche negli echi della beatlesiana Moonrabit, in cui le gocce già crollano, precorrendo il finale (come in Tombstone). “La distanza renderà più forti” è il concetto della graziosa Dojo Rising, con il “get” ripetuto allo sfinimento; poi Wright si libera in allettanti divagazioni vocali, in un brano tra i migliori (Promises) per cura dei cori, fraseggi di chitarra e basso vivace. Nel conto dei rari momenti infelici (accade appena in qualche scontato passaggio lirico), si annovera la doppietta di Scar e Happy Birthday, insipida perché troppo ragionata. E poi la title track, infine acustica, chiude dolcemente l'album con un timbro caratteristico (addirittura) della musica leggera italiana, naturalmente ancora quella degli anni Sessanta.

Dalla grotta del sogno, da queste alcove scavate nella roccia, dalle piramidi naturali, dai trulli dalle cupole imprecise non sboccano solo echi distanti, atavici, e cascate perenni di gocce d’acqua. Sbocca il disco maturo, coinvolgente, di quattro giovincelli che impressionano fin dai primi approcci. E per sognare non occorre recarsi in Cappadocia. Il sogno è qui, è australiano.

 

 

 

V Voti

Voto degli utenti: 7,5/10 in media su 6 voti.
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cnmarcy 7,5/10
hiperwlt 7,5/10
Cas 7,5/10

C Commenti

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futuroalt-j alle 20:31 del 5 ottobre 2013 ha scritto:

Ascoltata la metà del disco e l'impressione è sicuramente buona. Gli arrangiamenti sono veramente di una categoria superiore, le due voci combaciano, sono complementari e si sente l'intesa. Ripasso per un giudizio più preciso dopo altri ascolti!

teocapo (ha votato 8 questo disco) alle 14:21 del 12 novembre 2013 ha scritto:

sentiti ieri sera a live a Roma, spaccano!

hiperwlt (ha votato 7,5 questo disco) alle 17:11 del 14 novembre 2013 ha scritto:

Ottima ed equilibrata sintesi estetica (mai nessuna componente sopra le righe); ne un album che sorprende a più riprese (da top ten di fine anno, possibilmente), con pochi momenti di stanca. e con composizioni superiori ("dojo rising", "island living", "scar", "the smoke, the feeling"). Bravissimo Jacopo a rendere con precisione le atmosfere presenti nel disco

Cas (ha votato 7,5 questo disco) alle 11:24 del 13 dicembre 2013 ha scritto:

disco che si sta rivelando splendido. ripasserò, ottima segnalazione

Cas (ha votato 7,5 questo disco) alle 21:17 del 17 dicembre 2013 ha scritto:

tutti giustissimi i riferimenti che hai fatto, Jacopo. e sicuramente sono i Tame Impala i più diretti ispiratori di cose bellissime come Promises (dove io mi ostino a sentirci gli Animals -quella linea d'organetto) e Moon Rabbit (qui si, Tame a palla, anche se potrei dirti un gruppo a caso della stagione sunshine pop anni '60 e sarebbe lo stesso -azzardo, i Millennium). Non è finita qui: bello l'indie-pop di Scar (siamo dalle parti degli Swim Deep) o lo sfumato di The Smoke, The Feeling, o ancora Ice Age Heatwave, un dei pezzi che preferisco, un vero caleidoscopio (ci sento i migliori of Montreal). Insomma, bel disco

Franz Bungaro (ha votato 7,5 questo disco) alle 10:22 del 15 dicembre 2013 ha scritto:

Lo sto ascoltando in questi giorni, incuriosito più che altro dalla morbida, asciutta e delicata prosa dell'ottimo Jacopo. Mi vengono in mente molto gli ALT-J, come giustamente menzionato nella recensione, fin dalla cover dell'album, molto simile a quella di An awesome wave. Poi mi sono venuti in mente in vari punti e momenti diversi, Beach Boys (?), Dirty Projectors (Scream Rave), Maccabes (da qualche parte), Chairlift, Foals (island living), altri di cui non mi ricordo il nome ora...ecc, ecc...ascoltate le prime 3 (soprattutto "Promises") mi è venuto un colpo, pensavo di aver cannato la top 10 dell'anno...poi mi sono un pò rincuorato...cmq un bel disco (credo piacerebbe molto al Los), bravo Jacopo.

Jacopo Santoro, autore, alle 16:37 del 17 dicembre 2013 ha scritto:

Grazie mille, Franz.

Per me i Cloud Control sono stati una gradevolissima scoperta estiva. Vederli dal vivo ha corroborato la mia convinzione sulla potenza espressiva e sulla qualità musicale di questi ragazzi australiani. "Dream cave" è bello. E gioviale.

Jacopo Santoro, autore, alle 16:01 del 18 dicembre 2013 ha scritto:

p.s.: ascolto "Dream Cave" (intendo dire il brano, l'ultimo, non l'album), e sembrano I Giganti che cantano in inglese

REBBY alle 11:15 del 19 marzo 2014 ha scritto:

Lo sto ascoltando per la prima volta, non mi ricordano assolutamente gli Alt-J (i migliori Of Montreal invece sono venuti in mente anche a me), non credo piaccia molto al Los (ma tanto non lo sapremo, è emigrato in Australia eheh), molto eterogeneo, anima sixties, bella recensione e buona la prima impressione.