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R Recensione

6/10

Clouds in a pocket

Ten Blown Feathers

La prima cosa che colpisce di Ten Blown Feathers è la raffinatezza del packaging cartonato, la splendida copertina di stampo tardo surrealista e in generale l'attenzione per la grafica a la sezione visiva del prodotto.

Ma questo non è nient'altro che puro feticcio della merce, e lascerebbe il tempo che trova se non fosse accompagnato da una serie di canzoni profonde e ben strutturate. E tali sono le composizioni del disco, in grado di spaziare tra un dream-pop sentimental-amoroso (So sorry (still bleeding); talvolta particolarmente riuscito come nella languida e appassionata Cry + Cry) a piccole filastrocche che rievocano il primo Mersey Beat (Oh, Elizabette!).

Il tono medio delle composizioni è però abbastanza omogeneo, e pur tra piccole sfumature si caratterizza per un'andatura guascona da cantastorie malinconico e autunnale. Il trucco è girare attorno a questo schema variando quel tanto da non annoiare: così ecco il piccolo ritmo western in John Winston Lennon, il bozzetto fiabesco in Bruises, lo scatto di vivace solarità di Hannibal Lecter, le partiture sinfoniche estremamente curate di Run Milan Run e il candido arpeggio folk alla Nick Drake su cui vive 24: today.

Talvolta si rallenta a tal punto da sfiorare lo slow-core (Rabbits and fairytales), ma nel complesso si resta nell'alveo di schemi musicali ridotti all'osso e fondati su atmosfere folk-pop sognanti alla Kings of Convenience (vedi Lullaby). Un po' inconcludenti talvolta (come Tunafish can for lunch) ma nel complesso abbastanza eleganti e lirici da scorrer via senza traumi. Per un gruppo che cerca di giocare molto sui sentimenti e sull'impatto emotivo questo è un elemento fondamentale che ne sancisce quanto meno la riuscita minima.

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