Minks
By The Hedge
Giusto iniziare l’anno con un disco così: umidiccio, da nebbioline invernali, dream pop intorpidito su cui ormai la Captured Tracks fa scuola. Chitarre jingle-jangle, voci fuori fuoco, frasi di basso da post-punk con l’ovatta, roba che viene da New York ma che sembra appartenere alle camerette pomeridiane di ogni provincia dove i giorni sono presto sere.
Sean Kilfoyle e Amalie Bruun, di originale, hanno poco. La strada che percorrono è arcinota: partenza dai Cure, passaggi per Cocteau Twins e The Wake, spanciate sull’indie pop ’80 più ‘vago e indefinito’ (Felt, Pastels, Field Mice, tra Sarah Records e suono Slumberland) e planata tra i poppettari da cameretta recenti (Wild Nothing, Seapony, Letting Up Despite Great Faults). A percorrere queste tritissime vie non è scontato scrivere belle canzoni come quelle che ci sono qua, per cui i Minks andranno schedati tra i derivativi buoni (in un ambito dove i cattivi sono tanti). Lo fanno subito capire la melodia deliziosa e le tastiere soverchianti di “Kusmi”, e lo confermano le chitarre smateriate di “Arboretum Dogs”, in chiusura.
In mezzo, tanto dream-pop a fedeltà medio-bassa, preferibilmente su tinte crepuscolari. “Life At Dusk”, appunto, recita un titolo: suoni che si sfibrano man mano che escono, batteria in piccola marcia, e riverberi di voci spettrali, stile Durutti Column. L’evocatività è massima, e tocca l’apice nel seppia spinto di “Our Ritual”, portata a braccetto in una giostra svenevole dalle tastiere: rondò new wave. Da carillon dell’anno nuovo (la si sente qua).
I due pezzi già usciti nel 2010 su 7 pollici, sempre per Captured Tracks, dimostrano come i Minks si siano col tempo fatti più eterei, e con risultati più efficaci: “Funeral Song” è tutta nel basso New Order (quello di "Ceremony"), e stona, mentre “Ophelia” (molto The Wake) fa dello spleen introverso-decadente un mestiere («wherever people go, the darkness always follows, there is no way to live a quiet life»). Non sempre la scrittura è a fuoco, soprattutto dove si cerca la variazione svirgolata (“Bruises”, “Out Of Tune”): i due di NYC danno il meglio quando si mettono le vesti più easy-pop (“Cemetary Rain”), cosa che a me suona come un pregio spettacolare.
Ecco, col giusto passo: non è un disco che cambia la vita, ma è uno di quelli che possono ricompensare per molto tempo chi ci si affeziona.
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