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R Recensione

7/10

Nadine Khouri

The Salted Air

The Salted Air” è l’ultima fatica discografica della libanese Nadine Khouri, la prima in ordine di tempo dopo l’EP “A Song to the City” del 2010. La Khouri è nota ai più per aver prestato la propria voce in un episodio di “Screenplay” di John Parish, una delle raccolte più eterogenee e spiazzanti degli ultimi dieci anni. E proprio dalla collaborazione con Parish – stavolta in veste di mecenate e produttore – nasce l’esigenza di tornare alle stampe con un lavoro fiero e coeso, sicuramente maturo, fatto di evanescenze sonore e caratterizzato da un cantato raffinatissimo: dieci tracce per questo “The Salted Air”, tutte cesellate secondo i canoni del buongusto e della compattezza.

Rispettando con rigore l’ordine della tracklist cominciamo da “Thru You I Awaken”, minimale e contemplativa, che sembra uscire dal teatro del Silenzio di David Lynch; segue “I Ran Thru the Dark”, decisamente più ritmica, dove tamburelli e chitarre acustiche creano un affascinante botta-e-risposta e danno vita ad una canzone che tocca i temi della perdita, della separazione e del tentativo di trovare il proprio posto in questo mondo; la Khouri appare poi sinceramente lirica e spirituale in “Jerusalem”, una città di cui è impossibile non subire il fascino. Con “Broken Star” l’umore del disco vira verso una qualche forma di mestizia, che diventa disperazione vera nella successiva “Daybreak”, rotta soltanto dal lamentoso violino di Emma Smith. La title-track, il brano più lungo di questo CD, è semplicemente pacificante, è un sogno ad occhi aperti, un viaggio mistico e meraviglioso nella tundra dell’anima: accompagnata da pochi strumenti e da tastiere dilatate, nonché dalla voce baritonale del cantautore irlandese Adrian Crowley, Nadine Khouri serpeggia tra i sentieri bui e cespugliosi del proprio Es, dando prova di fine introspezione psicologica e di raffinato senso musicale.

La balsamica aria salata ritorna veemente con “Surface of the Sea”, una canzone che possiamo tranquillamente ascrivere alla musica da viaggio: c’è tanto della pacatezza di Mark Kozelek, un po’ di quella psichedelia dei Mazzy Star, qualcosina dell’ampollosità di Björk e forse anche un pizzico dell’irrequietezza di PJ Harvey. “You Got a Fire” si adagia invece su strutture jazzistiche, anche grazie al brush drumming di Jean-Marc Butty, mentre “Shake It Like a Shaman” strizza l’occhio al folk e al dream pop, dimostrando che la Khouri è capace di dar vita anche a brani di pura e godibilissima leggerezza. Il disco si conclude nella sconfinata eleganza di “Catapult”, piena di increspature diverse che rendono magnifico il tutto, e che vanno dal fascino drammatico di una Bat for Lashes alla potenza espressiva di Janelle Monáe, dall’immaginario folk di un Howe Gelb ai rischiosi vocalizzi della sempreverde Róisín Murphy.

The Salted Air” è uno di quei dischi che riescono a definire con precisione di dettaglio l’identità dell’artista, tanto che Nadine Khouri emerge da questo lavoro per ciò che probabilmente è davvero: un’artista intima e riflessiva, ma anche energica e muscolosa, un’autrice attenta e puntigliosa, una cantante di grande talento; dimostra inoltre di poter rappresentare un solido ponte tra la cultura mediorientale di origine e quella britannica d’adozione. E va detto che grazie agli odierni fenomeni migratori nei prossimi decenni conosceremo nuove e ancor più affascinanti ibridazioni artistico-culturali.

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