V Video

R Recensione

7,5/10

Papercuts

Fading Parade

Il recente passaggio alla Sub Pop di Jason Robert Quever e dei suoi Papercuts rappresenta - già da ora – un’opportunità importante nonché necessaria per trovare nuovi stimoli all’interno delle dinamiche musicali del gruppo (soprattutto, dopo l’opaco You Can Have What You Want) e - perché no? – per potersi esporre ad un pubblico ben più vasto rispetto a quello ottenuto negli anni precedenti. Sotto l’”egida” di Thom Monahan – già produttore in passato di Au Revoir Simone e Beachwood Sparks – e grazie alla frequentazione ben più assidua degli altri elementi del gruppo all’interno progetto (tale da non far sembrare, a differenza degli episodi precedenti, il nuovo disco un progetto solista di Quever) i Papercuts compiono il decisivo passo in avanti (direi un salto qualitativo) nella loro discografia. Fading Parade, quarto disco di Quever e soci, è frutto di una lunga sessione di registrazione a Sacramento, poco lontano dalla loro “scena” natia (San Francisco): il prodotto “finito” è un disco dream pop intimista. E sì, molto crepuscolare.

Una delle peculiarità di Fading Parade è rappresentata, appunto, dall’incessante e ossessivo gioco di riverberi e – soffici – dilatazioni sonore. L’ascolto è, in questo senso, una piena immersione in composizioni ricche d’atmosfera, sognanti, sebbene lineari nel loro incidere, sonnolente, quasi apatiche nel non svelarsi mai completamente. I ritmi spesso rallentati e volutamente lo-fi; le trame pop in continua dissolvenza; la densità tenera ed eterea del suono; la fragilità insita nelle liriche, cariche di sentimento ma anche di lucida osservazione; le armoniose venature psichedeliche e il poco ingombrante substrato folk: accomunare gli elementi del “sound” di questo nuovo album dei Papercuts (e, in parte, anche dei precedenti) con alcuni dei tratti che contraddistinguono gruppi della recente (e non) scena indie pop, come (tra gli altri) Seabear, Tamaryn, Grizzly Bear e Beach House (ma anche di band shoegaze e dream pop del passato, si pensi a Galaxie 500 e Slowdive), non sembra così azzardato.

La densa e corale Do You Really Want To Know e il torbido abbattimento di Do What You Will ("you come as you please, and go as you need") conquistano per la loro immediatezza e si insinuano “dentro” sin dal primo ascolto. La tenue gioiosità in salsa psichedelica di Chills è un tripudio di colori, sorretta da un ritmato sì sfuocato e profondo, ma molto ben sostenuto; davvero sublime, in coda, l’incidere White are the Waves, così come degni di nota risultano gli “inseguimenti“ melodici,  in Wait Till I’am Dead, al cantato – o meglio, ai sospiri – di Quever . E se I’ll See You Later I Guess - tra gli episodi più riusciti - sa essere così evocativa, lo deve certamente alla splendida e onirica trama d’apertura, una vorticosa cantilena per tastiere. In fondo il disco rallenta, volgendo al termine con le dolenti ballate Winter Gaze e Charades, quest’ultima contraddistinta da celestiali passaggi strumentali.

Resa sapientemente densa e orchestrale dalla gran quantità di strumenti utilizzati – come riportato dalla stessa Sub Pop: chitarre, pianoforte, moog, mellotron, autoharp, echoplex ecc – la struttura delle composizioni, in generale, mostra una notevole compattezza d’insieme. Ciononostante, Fading Parade è un disco "sfuggevole" nel suo animo: difficile, in questo senso, captare nella sua interezza la gestalt emotiva che lo mantiene così coeso. Forse un turbamento “represso”, in parte sublimato (sebbene mai completamente) anche dagli innocui e carezzevoli slanci vocali di Jason Robert Quever (veri punti di forza del lavoro). Da parte di chi scrive, è però certa la consapevolezza che Fading Parade rappresenti uno dei dischi indie/dream pop più riusciti dell’ultimo periodo.

V Voti

Voto degli utenti: 7,2/10 in media su 12 voti.
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Teo 7/10
target 7/10
rubens 10/10
mavsi 7/10

C Commenti

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mavsi (ha votato 7 questo disco) alle 14:01 del 10 marzo 2011 ha scritto:

Secondo me è un buon disco. Non un capolavoro, ma un buon disco dream pop

target (ha votato 7 questo disco) alle 21:03 del 10 marzo 2011 ha scritto:

Uh, che bel dischello, questo! Da vecchia balera triste con boiserie e fanciulle col broncio su seggiole in penombra. Riascolto sicuro, e presto. Bravo Mauro!

salvatore (ha votato 9 questo disco) alle 21:37 del 10 marzo 2011 ha scritto:

Sì sì, gran bel disco... Ma vogliamo parlare di "I'll See You Later I Guess"? Che meraviglia... Ci si vede presto per un bel commento e un bel voto

hiperwlt, autore, alle 23:07 del 10 marzo 2011 ha scritto:

x Salvatore: sì,"i'll see you later i guess" tra le migliori, senza alcun dubbio! aspetto il tuo commentone (che sarà chilometrico, a questo punto)

x Francesco: quant'è "evocativa" la tua "sensazione" del disco? ps: ti ringrazio!

salvatore (ha votato 9 questo disco) alle 23:08 del 11 marzo 2011 ha scritto:

Tanto per essere chiari: il più bel cd uscito in questo primo scorcio di 2011 (che imprescindibilmente troverà un posto nella mia top ten di fine anno, bisogna solo vedere quanto in alto si piazzerà...). E per essere ancora più chiari, il voto: 8,5 che arrotonderò col cuore a 9. Il fatto è che di questi 10 brani non ne butto via neanche mezzo. Parte il primo, e questi mi fondono shins e beach house (e rimarrà questa del gruppo di Baltimora l'influenza più manifesta dell'album) e io già li maledico perchè questi sono colpi bassi. Attacca il secondo e nell'inciso mi fanno sentire echi lontani di Galaxie 500 e dei Low più impalpabili. Pensi che abbiano toccato l'apice e invece la perfezione arriva col terzo. Difficile per me immaginare una scrittura, un arrangiamento, un cantato più bello: slowcore, indiepop, tocchi di psichedelia e un suono che sembra uscire da un tubo che fa tanto Clientele (Fra' una definizione più azzeccata dei clientele non l'ho mai letta )e che tanto mi piace. E mi fermo qui ma si potrebbe stare a parlare di ogni brano. Certo una menzioncina la meritano pure il pop incantevole di "marie says you've changed" i sinistri riverberi di "white are the waves", il soul in chiave dream di "Winter Daze" e la carezzevole narcolettica delicatezza di "Charade". 10 brani e 37 minuti di rallentamenti incessanti e timide accelerazioni, un cantato brumoso che, a tratti, si fa nitido e incanta e, infine, una ricchezza strumentale e di intuizioni che è la ciliegina sulla torta di un album pressoché perfetto che cresce esponenzialmente di valore, ascolto dopo ascolto. Un po' troppo derivativi, forse, ma l'amalgama risultante rasenta il sublime. Ho esagerato? Forse sì, ma ogni tanto ci sta farsi prendere dall'entusiasmo!

Ovviamente, incantevole anche la copertina! Adesso faccio una capatina su amazon...

Bellissima proposta, Mauro, e bellissima recensione!

benoitbrisefer (ha votato 7 questo disco) alle 14:22 del 17 marzo 2011 ha scritto:

Non so se il buon Mauro sarà d'accordo ma credo che, oltre alle inflenze da lui citate, per questi suoni si potrebbe fare riferimento, nei cristallini intrecci chitarristici, ai primi Byrds e soprattutto a quel calderone di suoni vintage sixties oriented che fu la Creation di Alan McGee, partendo proprio dalla sua band, la poco nota, ma piacevolissima Biff Bang Pow.

hiperwlt, autore, alle 17:47 del 17 marzo 2011 ha scritto:

sì, decisamente d'accordo Benoit. ed è in fading parade, a mio avviso, il loro "sostrato". i riferimenti (quasi) esclusivi al dream pop, in effetti, volevano enfatizzare l'immersione ancor più profonda - rispetto al passato, dove le sonorità folk-rock dei sixties, erano un po' più evidenti - entro il "genere". ti ringrazio della precisa puntualizzazione . x Salvo: triplo grazie. per il video - non era ancora uscito ai "tempi"(!); per il tuo commento, che amplia ottimamente il discorso sui singoli pezzi (l'ancoraggio ai clientele circa la "gestalt" sonora, ma anche agli shins nella opening track ecc.); e dei complimenti, naturalmente .

casadivetro (ha votato 8 questo disco) alle 3:12 del 23 marzo 2011 ha scritto:

You can have what you want, il precedente, era doloroso tanto era bello.

Questo sicuramente più sorridente.

Jason Quever è un ottimo compositore.

target (ha votato 7 questo disco) alle 20:24 del 23 marzo 2011 ha scritto:

Un disco indie-pop piuttosto standard su cui poi Quever ha calato sopra una tenda, mandandolo come in penombra. Molto fascino, come avete detto voi, in effetti viene a questo disco proprio dalla produzione scura e ovattata, stile Clientele. Belle canzoni (bellissime, direi, le prime due e le ultime due), anche se alcune vengono trascinate un po' troppo, e alcune troppo illanguidite dal cantato.

Filippo Maradei (ha votato 7 questo disco) alle 20:53 del 23 marzo 2011 ha scritto:

Lavoro gradevole, piacente, intriso di lievi suggestioni dream-pop e accordi curatissimi; da gustarsi all'ora degli aperitivi, quando il cielo è un manto purpureo... e non a caso copertina molto azzeccata. Bella rece Mauro, hai centrato in pieno il disco!

salvatore (ha votato 9 questo disco) alle 11:54 del 24 marzo 2011 ha scritto:

"You can have what you want, il precedente, era doloroso tanto era bello. Questo sicuramente più sorridente"... Allora che dici, casa di vetro, me lo procuro? Io avevo aspettato per paura di rimanerne deluso dopo l'estasi provata nell'ascoltare questo... Del tuo giudizio mi fido, visto che negli ultimi giorni ho trovato il tuo commento in coda ad un sacco di album che adoro

rubens (ha votato 10 questo disco) alle 20:30 del 27 marzo 2011 ha scritto:

Per quanto mi riguarda non solo Fading Parade è già da ora uno dei potenziali dischi indie pop dell'anno, ma Do You Really Wanna Know è in assoluto la cosa più bella che abbia sentito negli ultimi mesi: ringrazio Salvatore che col suo commento mi ha dato la spinta a procurarmi questo disco

salvatore (ha votato 9 questo disco) alle 23:34 del 27 marzo 2011 ha scritto:

Ma figurati Stefano, io ho solo espresso il mio entusiasmo. Alla fine, però, credevo di aver un tantino esagerato, quindi mi fa piacere ritrovare lo stesso entusiasmo in un'altra persona Io ora ho iniziato un lavoro di recupero dei loro precedenti cd. Sto ascoltando il precedente "You Can Have What You Want" e ti assicuro che è bellissimo. Magari non quanto F.P., ma notevolissimo. Senti che bella questa:

Da uscirne pazzi!

REBBY alle 9:31 del primo aprile 2011 ha scritto:

A me sembra che questo album sia molto distante dagli ottimi livelli raggiunti da Grizzly bear, Beach house ed anche Seabear (The ghost that carried away). In particolare ritengo che il punto debole sia il cantato di Quever, poco dotato da madre natura e per giunta, come evidenzia Target, talvolta davvero esageratamente languido. Ovviamente quindi il mio pezzo preferito è Marie says you've changed.

hiperwlt, autore, alle 13:52 del 16 luglio 2011 ha scritto:

video ufficiale di "do you really wanna know"

salvatore (ha votato 9 questo disco) alle 14:03 del 16 luglio 2011 ha scritto:

Ottima occasione per riascoltarsi una delle canzoni più belle degli ultimi tempi... A dire il vero non è che mi sia mai fatto mancare l'ascolto dell'album... Fisso sul mio I pod, dubito perderà il suo posticino prima della fine dell'anno...

hiperwlt, autore, alle 14:08 del 16 luglio 2011 ha scritto:

Salvo, l'ho postato per te il video, sia chiaro!

Filippo Maradei (ha votato 7 questo disco) alle 14:09 del 16 luglio 2011 ha scritto:

RE:

Aggiunto!

salvatore (ha votato 9 questo disco) alle 14:14 del 16 luglio 2011 ha scritto:

Onorato per il cadeau, Mauro.

Tra l'altro, video decisamente ben fatto!

target (ha votato 7 questo disco) alle 14:33 del 16 luglio 2011 ha scritto:

Eh sì, questo pezzo è una delle cose belle del 2011. Lui somiglia un sacco al mio barbiere.