She Sir
Go Guitars
La via americana allo shoegaze sembra procedere in due direzioni opposte: da una parte quella più oscura e satura, spesso in contatto con contaminazioni heavy di varia natura (si prendano i Nothing o i True Widow); dall'altra abbiamo un manipolo di gruppi indie-pop che hanno deciso di irrobustire le loro chicche dreamy con cumuli di chitarre in riverbero (e qui possiamo citare i Tamaryn, i Ringo Deathstarr o i Young Prisms). Si prendano come esempio dello sdoganamento del genere gli Eternal Summers: fino a poco tempo fa incorrotta creatura twee, ora sfrigolante ibrido dream-gaze.
Go Guitars, quindi. Mai titolo fu più azzeccato. I texani She Sir approdano ad un esordio di ottima fattura dopo anni di gavetta (è del 2006 l'Ep Who Can't Say Yes). E se avete anche bisogno del libretto d'istruzioni, ve lo forniscono loro: For fans of: Real Estate, Pale Saints, Violens, The Chills, Mojave 3, Ride, Felt, scrivono sul loro sito.
La band texana dimostra di sapersi muovere agilmente nelle pieghe di questa maniera indie. Lo si capisce dal denso e inesorabile accumulo sonoro dispiegato in Portese, con le chitarre che diventano uno strato liquido su cui galleggia la cantilena dreamy di Russell Karloff, puntellata dai ricami della chitarra solista e sommersa dalle ricchissime textures della nebulosa finale. La cura prestata alle dinamiche espansive dei brani, assieme ad un freschissima scrittura pop, è tale da fare la differenza: le atmosfere shoegaze sono frastagliate, stratificate, ricche e definite. In Kissing Can Wait l'impressione è quella di un continuo scintillio, di un infinito riflettersi tra loro delle partiture chitarristiche, impreziosite dalle eteree linee di synth e dal motivetto solista, mentre nella solenne Mania Mantle tutto si solidifica attorno ad un basso portante su cui sembrano infrangersi i feedback sfrigolanti delle sei corde. Affascinante, poi, la fitta cortina sonora che ingloba la malinconica Snakedom, così come la filastrocca dream-pop di Condensedindents o il lento incedere della graziosa Winter Skirt.
Curiose infine le prove di indie pop sfumato della ciondolante Bitter Bazaar e della trasognata Warmwiming, che sembrano mettere assieme la surfedelia di band come Desolation Wilderness e le suggestioni jangle dei primi Real Estate.
Un lavoro incantevole, capace di regalare diversi momenti di puro godimento e un generale mood di rilassata perdizione. La formula dei She Sir, sebbene non ancora dotata di quel valore aggiunto capace di far spiccare il salto decisivo per la consacrazione, infila una dopo l'altra diverse piccole perle di genuina espressività indie pop. Aspettando una possibile e sperata maturazione, questo Go Guitars pare essere un ottimo preludio.
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