Violens
Nine Songs
Provenienti dal collettivo di musica e arte Lansing Dreiden, i newyorkesi Violens - tra i principali esponenti del movimento new-romantic a stelle e striscie -, a distanza di un anno dal precedente “Amoral”, assemblano nove composizioni, rilasciate singolarmente durante tutto l’arco del 2011, nella mezzora esatta di “Nine Songs”. I nostri, si muovono nuovamente in scenari wave (The Cure, The Smiths, Slowdive), avvicinandosi, in alcuni casi, a quelle correnti pop-surf che, anche quest’anno, stanno rappresentando una bella fetta del mercato inglese - e non: The Drums, su tutti – non dimenticandosi, ad ogni modo, della fondamentale lezione pop dell’era sixties (Beatles, Mamas and the Papas, Beach Boys - tra i riferimenti da loro citati qui e là -; ma anche gli Association, volgendo lo sguardo agli ’80).
Le strutture delle composizioni, infatti, si fanno ora ben più ordinate, e la componente scenica, insita nel loro approccio arty e free form, fa capolino in maniera meno egocentrica: a volte i brani danno l’impressione di un collage di trame (“No Look on Your Face”), altre paiono ricreare gli umori eighties del loro recente passato (gli accenni shoegaze di "Be Still"; il dream pop di “Spirit”). Si gioca, sovente - e come ieri -, con le armonie vocali (in spazi densi di riverbero, “Through the Window”), creando anche motivetti supportati da tastiere (Iddo Arad) all’osso, che trascinano l’intera linea melodica (“Top of the Mountain”, e il suo cantato sensuale con ritmica in controtempo annessa). Le armonizzazioni tra le parti sono assicurate dalla guida salda de giri chitarristici (“Every Melting Degree”), e su i quali solo la batteria, in poche occasioni, tenta virate anarchiche. Quando Jorge Elbrecht (voce e chitarra, nonché produttore meticoloso dei brani) and co. ambiscono a colpacci melodici à la Johnny Marr (“Totaly True” , una – con le dovute distanze, eh - “Some Girls are Bigger than Other” che si limita ad ‘entrare’), si rivestono anche di quella patina dreamy che ha fatto, recentemente, le ‘fortune’ artistiche di gruppi come i Mew, Kashmir e Oh No Ono. Di tanto in tanto, si captano ancora i limiti del precedente disco: alcune sezioni, infatti, sembrano tirate un po’ con forza, fatto che ne limita la qualità generale. Ma laddove la scrittura è ispirata, ne escono brani ottimi: come “Something Falling”, con le sue traiettorie melodiche ampie e trasognate, che ricordano lo stile insieme sghembo e ordinato dell’ultimo Mondanile in casa Real Estate (“Days”).
"Nine Songs", compilation (i pezzi singoli o l'intero pacchetto è acquistabile dalla loro homepage, o sul bandcamp) di transizione, porta i Violens su binari ben più easy listening: ciò non significa, comunque, che il risultato sia il loro migliore (l’istrionicità, l’imprevedibilità di “Amoral” si fa ancora preferire). Piuttosto, c’è da sperare che questo graduale rinnovamento possa manifestarsi, con pienezza, in un full-length ben più corposo e organico. In quel caso, sarà colpo di fulmine.
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