Ariel Pink
Pom Pom
Allultimo ascolto del nuovo disco di Ariel Pink ho pensato questa cosa assurda, e la scrivo: Pom Pom sta ad Ariel Pink come Be Here Now agli Oasis. Posto che il losangelino e i mancuniani non ci azzeccano niente luno con gli altri (o forse condividono, sì, tuttal più un filo di misoginia), lascolto dei due album, a ventanni di distanza, mi ha dato lo stesso effetto di saturazione e stanchezza. Pink, liquidando dal nome gli Haunted Graffiti, si eleva qua allennesima potenza, in un disco di 17 pezzi che porta agli estremi tutti i tricks e le maniere di unintera carriera, passata per lo più nel sottobosco ma ormai da un lustro pienamente riconosciuta.
Ariel Pink, dunque, svariona come un nuovo Zappa, riprende il discorso psichedelico ma melodico degli Sparks più ispirati, mescola i generi, gioca di citazionismi sozzi, inquina la bassa fedeltà del trash commerciale con una sapienza in fase produttiva ormai calibrata e solo fintamente naïf, sbalestra e spaesa, affonda sfacciatamente nel camp, ma soprattutto, in Pom Pom, stroppia.
Se il disco si fosse limitato a dieci pezzi (da 1 a 7 tutti, e poi via con i tagli), ne sarebbe uscito un buon successore di Mature Themes, che di quel lavoro riprendeva il discorso, senza oltraggi ma con qualche corda in più: il synth pop stralunato e neotragico di Picture Me Gone, il goth-pop da radio fm primi 80 di Four Shadows (tipo: Billy Idol e Scorpions insieme), il dream pop a metà tra la filastrocca e il singolone killer da Festivalbar di One Summer Night, la sfattezza seventies su deliqui funky di Put Your Number In My Phone, litalo geometrica di Lipstick, assieme ai numeri più circensi del caso (le scale mattoidi di White Freckles, le giocose storture in stile Sparks era-"Indiscreet" di "Plastic Raincoats in the Big Parade" o le buie provocazioni da stripper club trasandato di Not Enough Violence, in una salsa, di nuovo, profondamente italo disco, vd. i Pet Shop Boys di Paninaro).
Ma Ariel Pink, stavolta, vuole strafare, e inserisce pezzi che cassano laspetto pop o semplicemente esasperano la ricerca delleccentrico, attraverso cambiamenti deliranti, interpolazioni sonore sgradevoli (rane, dialoghi tra puttane clienti e magnaccia, schizofrenie corporali varie), infantilismi sonori, momenti di autentico vuoto, che appesantiscono lascolto e provocano un fastidio, temo, preterintenzionale. Dinosaur Carebears e Exile on Frog Street, ma anche Negative Ed e le stucchevoli Sexual Aestethics e Jell-o non lasciano nemmeno unimpressione di divertimento; lintera parte centrale, focalizzata su un famolo-strano fine a se stesso, appare poco o per nulla ispirata. È come se Pink, dopo la normalizzazione dei due dischi precedenti, avesse di nuovo voluto épater le bourgeois, non solo per via musicale, ma anche a mezzo stampa, da cui le uscite discutibili contro Madonna e Grimes, con tanto di strascichi misogini, comunque li si voglia interpretare (partendo magari dalla vexata quaestio: Ariel Pink ci fa o ci è?), piuttosto antipatici.
Botto mancato.
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