Cosmo
Disordine
Ascoltando il disco di Cosmo (Marco Jacopo Bianchi, cantante dei Drink To Me, da Torino), sento improvvisamente il bisogno di fare delle riflessioni sullo stato del pop italiano. Come siamo messi? Male, direi. La parola pop, per gli italiani, significa ancora Laura Pausini, Eros Ramazzotti, Modà e via dicendo...
Nel resto del mondo, l'indie pop, invece, è in fermento per la ricerca di nuovi suoni, nuove soluzioni che possano rendere il pop un'esperienza ricercata e fruibile nello stesso tempo. Poi, quando il mainstream si risveglia dai festini ultralussuosi dei propri talenti da MTV, si guarda in giro alla ricerca della novità sonora dell'anno, sottopaga il malcapitato "genio" e gli tira fuori delle idee originali e di tendenza per la vecchia star consolidata nella classifica di iTunes, (dando, però, attimi di notorietà anche al povero talento che sgomitando cercherà di stare a galla).
Ma in Italia non succede neanche questo. Cosmo può dormire sonni tranquilli, non sarà costretto a produrre il nuovo disco di Emma.
Ma torniamo ancora un attimo al new-pop che c'è altrove: negli Stati Uniti, gli Animal Collective hanno cominciato a tracciare un solco molto profondo nel mondo della musica pop contemporanea, e parecchi giovani sperimentatori di melodie, stanno seguendo quel solco, adattando le proprie abitudini a quelle attitudini.
In Italia, Cosmo sta provando a seguire quel solco impregnandolo di melodie e testi italiani e giocando unicamente con l'elettronica.
L'esperimento è ben riuscito: l'album viaggia su sonorità nuove e fresche che già caratterizzano il personaggio senza perdersi troppo in riferimenti a colleghi più grandi.
L'unico nome altisonante che tirerei in ballo è Lucio Battisti.
Ricordate quel Lucio Battisti che, separandosi da Mogol, generò un malcontento generale nel suo pubblico per via di testi ermetici e sperimentalismi elettronici? Ecco, è di quel Lucio Battisti che si sta parlando qui.
Cosmo ha imparato bene la lezione e ci si è buttato a capofitto, cercando di immortalare, nei testi, gli anni '10, attraverso una poetica moderna e sfumata, caratterizzata da parole semplici e belle, con qualche ermetismo efficace e qualche frase ad effetto (che si stampa in testa e non se ne va).
Ecco La Felicità sembra il brano che Battisti avrebbe dovuto scrivere per il nuovo disco con Panella e che non è mai stato scritto.
Ho Visto Un Dio è un singolo esplosivo che le radio italiane non avrebbero mai il coraggio di mandare in rotazione (farebbe sfigurare tutti gli altri).
Wittgenstein, oltre a essere il nome di un filosofo austriaco (come Hegel, che fu citato proprio da Panella con Battisti), è anche la canzone migliore del disco: "forse è proprio così, siamo soltanto il sogno di una divinità, siamo tutti già morti ed ecco che... Non ci sono parole."
L'uniformità sonora del disco potrebbe annoiare qualche ascoltatore distratto, ma forse è anche lì il suo bello.
Se veniste rapiti dagli alieni, questo è ciò che vorreste ascoltare per sentirvi a casa.
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